Monday, 21 November 2011

HUNGER


(Irlanda, 2008) di Steve McQueen, con Michael Fassbender  

Un secondino del carcere di Long Kesh si lava le mani. Esce, prima di salire sull’auto controlla che qualcuno non abbia messo un ordigno. Sempre la stessa storia, tutti i giorni. Si lava le mani, esce, torna a casa. La mattina, al lavoro, si lava le mani. Ora nel cortile, dove i prigionieri consumano la loro ora d’aria, fuma, sotto la neve. Ha picchiato ancora. E si lava le mani. La sua storia non è molto diversa da quella di tanti altri secondini che nelle carceri del Nord Irlanda, e in particolare nel Maze del carcere di Long Kesh, ogni giorni si lavano le mani e se ne ritornano alle loro case. E anche oggi hanno picchiato uno dei 2.357 prigionieri politici arrestati tra il 1971 e il 1981.
Ritorno a casa; in auto alla radio la voce raf-ferma della Thatcher pronuncia crudeli sentenze: “Non c’è stato di prigioniero politico per questi criminali”; si riferisce agli ultimi arresti di giovani che sono entrati nelle fila dell’I.R.A. in seguito ai massacri, attentati, violenze continue e ingiustizie che il governo inglese continua a perpetrare contro la popolazione irlandese, e cattolica, del nord Irlanda. Ma è il solo cenno di politica che troviamo in questo resoconto cinematografico che parla, innanzitutto di Uomini.

Davey Gillen è appena stato portato a Long Kesh, denudato, picchiato, umiliato per aver detto “non vestirò questa divisa come un criminale; chiedo di poter portare i miei vestiti”. Gli danno una coperta e viene scaraventato nella fredda e sudicia cella, dalle pareti spalmate di escrementi, che dividerà con Fancy Quinn per i prossimi sei anni. La prima fase di protesta che i prigionieri politici irlandesi sostennero nelle carceri di Long Kesh venne chiamata la “Wash protest”, poi “Blanket protest”, la protesta delle coperte poiché questo era l’unica concessione che veniva rilasciata a chi si rifiutava di vestire l’uniforme del criminale per aver invece lottato per la propria dignità.
E arrivano puntuali le ripercussioni di tale protesta; ogni volta che il secondino si avventa sui loro corpi scarni per lavarli, per tagliargli barba, capelli e pelle, è una carneficina: ma a questi secondini non interessa, questi non sono nemmeno uomini per loro e se ne stanno tranquillamente a parlare e a raccontarsi le barzellette.
Ed ecco Bobby. Il film di McQueen ci riporta in maniera quasi documentaristica la maturazione della scelta estrema di Bobby Sands di arrivare allo sciopero della fame per vedersi riconoscere lo stato di essere umano, per riconoscere un valore alla sua vita.
In carcere difficilmente si riesce a comunicare con gli altri prigionieri e il momento della messa settimanale è per loro l’unico contatto, l’unica possibilità di rapporti umani, in cui scambiarsi notizie, biglietti, lettere da casa. E su un biglietto che arriva a Bobby, e che riesce a portare in cella da leggere, incastrato tra i denti, si legge la parola “negoziazione”. Anche se dall’esterno possono arrivare segni e inviti a scendere a compromessi con l’autorità inglese per chi vive dentro al blocco H non c’è pace. All’ennesimo rifiuto di indossare vestiti imposti dalle autorità e di starsene in comode celle di un carcere di massima sicurezza per assassini e stupratori, viene chiamato a intervenire l’esercito, in versione anti-sommossa. E mentre i prigionieri si sostengono urlando dalle proprie celle slogan in gaelico e inni all’Irish Republican Army, questi giovani vengono prelevati a forza dai soldati; picchiati a suon di manganelli, torturai e sottoposti a controlli umilianti e disumani, ferite indelebili sui loro corpi e nelle loro anime.
Solo un giovane soldato piange per loro.
La violenza sembra non avere fine mai, quando l’uomo smette di vedere l’altro, davanti a sé, come uomo; e la violenza non produce altro che altra, ancor più dilaniante violenza.
Il secondino si lava le mani, va a casa e si prepara a far visita alla madre all’ospizio. Arriva con fiori davanti alla madre catatonica; ci sembra quasi umano, per un momento. Ma subito la violenza entra con irruenza anche in questa parvenza di normalità e il secondino viene “giustiziato” da due uomini con un colpo alla testa. La violenza non genera che violenza.
Dopo questi episodi Bobby arriva alla decisione più radicale della sua vita; più radicale della lotta armata, più incomprensibile che il farsi giustizia. E la spiega, in un lungo colloquio a Padre Dom, confessore ed amico. Bobby ha deciso che dal 1 marzo (1981) cominceranno tutti, pian piano, lo sciopero della fame. “E’ l’unica cosa da fare adesso”. Ma il dubbio che gli pone il parroco è esistenziale: non è forse un suicidio quello che sta cercando? E Bobby, molto saldamente risponde che “quello che tutti considerano un suicidio, è un omicidio”.
La registrazione degli ultimi giorni della vita di questo giovane sono strazianti e liberatori; ha fatto una scelta e porta il suo compito fino in fondo; quello che le circostanze richiedono in questo momento è questo e lui lo porta avanti senza paura.
Così scrive Bobby Sands nel suo diario, che deve assolutamente essere letto per la comprensione e la riuscita del film:
“1° marzo 1981, domenica
Sto qui, sulla soglia di un altro mondo palpitante. Possa Dio avere pietà della mia anima. Sono pieno di tristezza perché so di aver spezzato il cuore della mia povera madre e perché la mia famiglia è stata colpita da un’angoscia insopportabile. Ma ho considerato tutte le possibilità e ho cercato con tutti i mezzi di evitare ciò che è divenuto inevitabile: io e i miei compagni vi siamo stati costretti da quattro anni e mezzo di vera e propria barbarie.
Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra…”
Bobby Sands muore: è il 5 maggio 1981.

Un amico irlandese mi ha consigliato questo film né per shockare né per scandalizzare, ma perché uno dei pochi film che abbiano mostrato la crudeltà e l’umanità di questi fatti.
Il regista registra i fatti, non lascia spazio al sentimentalismo e all’interpretazione; Micheal Fassbender straordinario. Peccato che, come al solito, questi bei film non siano distribuiti in Italia; il film esiste solo in lingua originale e importato da UK

Filmografia utile sulla questione irlandese (vera):
-       THE WIND THAT SHAKES THE BARLEY (2006) di K.Loach
-       BLOODY SUNDAY (2002) di P.Greengrass
-       SUNDAY(2002) di J.McGovern , regia di C.McDougall
-       MICHEAL COLLINS (1996) di N.Jordan
-       NEL NOME DEL PADRE (1993) di J.Sheridan
-       UNA SCELTA D’AMORE (A mother’s son) (1996) di T.George

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