(Irlanda, 2008) di Steve McQueen,
con Michael Fassbender
Un secondino del carcere di Long
Kesh si lava le mani. Esce, prima di salire sull’auto controlla che qualcuno
non abbia messo un ordigno. Sempre la stessa storia, tutti i giorni. Si lava le
mani, esce, torna a casa. La mattina, al lavoro, si lava le mani. Ora nel
cortile, dove i prigionieri consumano la loro ora d’aria, fuma, sotto la neve.
Ha picchiato ancora. E si lava le mani. La sua storia non è molto diversa da
quella di tanti altri secondini che nelle carceri del Nord Irlanda, e in
particolare nel Maze del carcere di Long Kesh, ogni giorni si lavano le mani e
se ne ritornano alle loro case. E anche oggi hanno picchiato uno dei 2.357
prigionieri politici arrestati tra il 1971 e il 1981.
Ritorno a casa; in auto alla
radio la voce raf-ferma della Thatcher pronuncia crudeli sentenze: “Non c’è
stato di prigioniero politico per questi criminali”; si riferisce agli ultimi
arresti di giovani che sono entrati nelle fila dell’I.R.A. in seguito ai massacri,
attentati, violenze continue e ingiustizie che il governo inglese continua a
perpetrare contro la popolazione irlandese, e cattolica, del nord Irlanda. Ma è
il solo cenno di politica che troviamo in questo resoconto cinematografico che
parla, innanzitutto di Uomini.
Davey Gillen è appena stato
portato a Long Kesh, denudato, picchiato, umiliato per aver detto “non vestirò
questa divisa come un criminale; chiedo di poter portare i miei vestiti”. Gli
danno una coperta e viene scaraventato nella fredda e sudicia cella, dalle
pareti spalmate di escrementi, che dividerà con Fancy Quinn per i prossimi sei
anni. La prima fase di protesta che i prigionieri politici irlandesi sostennero
nelle carceri di Long Kesh venne chiamata la “Wash protest”, poi “Blanket
protest”, la protesta delle coperte poiché questo era l’unica concessione che
veniva rilasciata a chi si rifiutava di vestire l’uniforme del criminale per
aver invece lottato per la propria dignità.
E arrivano puntuali le
ripercussioni di tale protesta; ogni volta che il secondino si avventa sui loro
corpi scarni per lavarli, per tagliargli barba, capelli e pelle, è una
carneficina: ma a questi secondini non interessa, questi non sono nemmeno
uomini per loro e se ne stanno tranquillamente a parlare e a raccontarsi le
barzellette.
Ed ecco Bobby. Il film di McQueen
ci riporta in maniera quasi documentaristica la maturazione della scelta
estrema di Bobby Sands di arrivare allo sciopero della fame per vedersi
riconoscere lo stato di essere umano, per riconoscere un valore alla sua vita.
In carcere difficilmente si
riesce a comunicare con gli altri prigionieri e il momento della messa
settimanale è per loro l’unico contatto, l’unica possibilità di rapporti umani,
in cui scambiarsi notizie, biglietti, lettere da casa. E su un biglietto che
arriva a Bobby, e che riesce a portare in cella da leggere, incastrato tra i
denti, si legge la parola “negoziazione”. Anche se dall’esterno possono
arrivare segni e inviti a scendere a compromessi con l’autorità inglese per chi
vive dentro al blocco H non c’è pace. All’ennesimo rifiuto di indossare vestiti
imposti dalle autorità e di starsene in comode celle di un carcere di massima
sicurezza per assassini e stupratori, viene chiamato a intervenire l’esercito,
in versione anti-sommossa. E mentre i prigionieri si sostengono urlando dalle
proprie celle slogan in gaelico e inni all’Irish Republican Army, questi
giovani vengono prelevati a forza dai soldati; picchiati a suon di manganelli,
torturai e sottoposti a controlli umilianti e disumani, ferite indelebili sui
loro corpi e nelle loro anime.
Solo un giovane soldato piange
per loro.
La violenza sembra non avere fine
mai, quando l’uomo smette di vedere l’altro, davanti a sé, come uomo; e la
violenza non produce altro che altra, ancor più dilaniante violenza.
Il secondino si lava le mani, va
a casa e si prepara a far visita alla madre all’ospizio. Arriva con fiori
davanti alla madre catatonica; ci sembra quasi umano, per un momento. Ma subito
la violenza entra con irruenza anche in questa parvenza di normalità e il
secondino viene “giustiziato” da due uomini con un colpo alla testa. La
violenza non genera che violenza.
Dopo questi episodi Bobby arriva
alla decisione più radicale della sua vita; più radicale della lotta armata,
più incomprensibile che il farsi giustizia. E la spiega, in un lungo colloquio
a Padre Dom, confessore ed amico. Bobby ha deciso che dal 1 marzo (1981)
cominceranno tutti, pian piano, lo sciopero della fame. “E’ l’unica cosa da
fare adesso”. Ma il dubbio che gli pone il parroco è esistenziale: non è forse
un suicidio quello che sta cercando? E Bobby, molto saldamente risponde che
“quello che tutti considerano un suicidio, è un omicidio”.
La registrazione degli ultimi
giorni della vita di questo giovane sono strazianti e liberatori; ha fatto una
scelta e porta il suo compito fino in fondo; quello che le circostanze
richiedono in questo momento è questo e lui lo porta avanti senza paura.
Così scrive Bobby Sands nel suo
diario, che deve assolutamente essere letto per la comprensione e la riuscita
del film:
“1° marzo 1981, domenica
Sto qui, sulla soglia di un altro
mondo palpitante. Possa Dio avere pietà della mia anima. Sono pieno di
tristezza perché so di aver spezzato il cuore della mia povera madre e perché
la mia famiglia è stata colpita da un’angoscia insopportabile. Ma ho
considerato tutte le possibilità e ho cercato con tutti i mezzi di evitare ciò
che è divenuto inevitabile: io e i miei compagni vi siamo stati costretti da
quattro anni e mezzo di vera e propria barbarie.
Sono un prigioniero politico.
Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il
popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante,
non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra…”
Bobby Sands muore: è il 5 maggio
1981.
Un amico irlandese mi ha
consigliato questo film né per shockare né per scandalizzare, ma perché uno dei
pochi film che abbiano mostrato la crudeltà e l’umanità di questi fatti.
Il regista registra i fatti, non
lascia spazio al sentimentalismo e all’interpretazione; Micheal Fassbender
straordinario. Peccato che, come al solito, questi bei film non siano
distribuiti in Italia; il film esiste solo in lingua originale e importato da
UK
Filmografia utile sulla questione
irlandese (vera):
-
THE WIND THAT SHAKES THE BARLEY (2006) di K.Loach
-
BLOODY SUNDAY (2002) di P.Greengrass
-
SUNDAY(2002) di J.McGovern , regia di C.McDougall
-
MICHEAL COLLINS (1996) di N.Jordan
-
NEL NOME DEL PADRE (1993) di J.Sheridan
-
UNA SCELTA D’AMORE (A mother’s son) (1996) di T.George
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