Tuesday 31 March 2020

Il settimo sigillo (I.Bergman)

IL SETTIMO SIGILLO 
Svezia, 1957, regia e sceneggiatura di Ingmar Bergman



Sulle rive di un inquieto mare incolore del Nord Europa, il Cavaliere Antonius Block gioca a scacchi con la Morte. L’ha incontrata al ritorno dalla Crociata in Terra Santa, dove aveva creduto di poter trovare uno scopo alla sua vita nell’azione eroica al servizio di Dio. 
Davanti gli occhi, ha un mondo dilaniato da guerre e persecuzioni, assassini e pestilenze - si sfalda lentamente, lasciando la Morte avanzare. Eppure per il laico Bergman non è un Dio che punisce, che lancia carestie e semina terrore, quanto un uomo che ha cercato la catastrofe da solo, l'ha creata su misura con le proprie mani. In un mondo immoto, un Medioevo nordico su cui grava un peso imminente, il cielo non offre via di fuga, piuttosto opprime; le trombe dell'imminente fine dei tempi riecheggiano in lontananza.
Antonius Block è tornato da Gerusalemme  amaro e disilluso, con il cuore vuoto, tormentato dalle stesse domande con cui era partito; la domanda se un fondamento ultimo esista e quali sono le sua caratteristiche.
E ancora continua a domandarsi e, partendo dalla realtà, dal mondo, vuole trovare delle risposte: per questo ha chiesto una dilazione, sfidando la Morte a una partita che sa di perdere, ma che gli lascerà forse ancora un’occasione per compiere almeno un’unica azione che abbia un senso. I vari personaggi, il Cavaliere, il quasi falstaffiano scudiero Jöns, l’attore Skatt, il fabbro Plog e la moglie Lisa, il farabutto Rayal, la Strega-bambina condannata al rogo, vanno incontro al loro destino sullo sfondo dell’eterno scontro tra luce e tenebre, bene e male. Soli superstiti Mia e Jof, la felice coppia di giocolieri che incarna quell’amore, quella semplicità delle piccole cose, quel frammento di serenità che il Cavaliere riesce a sottrarre alla Morte. 
Ciò che più frastorna è l’apparente silenzio di un Dio che dovrebbe essere mano ferma e scudo, porto sicuro. Così sulla terra si susseguono ricerche inconcludenti e prive di senso: lo smarrimento collettivo la fa da padrone. Quindi la vita umana inera è un assurdo? Nell'umanità circondata dalle tenebre, invece Dio si mostra in un semplice gesto, laddove il cuore dell’uomo è ancora capace di domandare: lo emanano due attori, teneramente innamorati, simboli di un'innocenza ancora non inficiata da irrequietezza e inaridimento (credere già di sapere, disperarsi, rendere umano un Dio che è Totalmente Altro).



«CAVALIERE: Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli.
MORTE: Ma Lui tace.
CAVALIERE: Lo chiamo nelle tenebre, ma a volte è come se non esistesse.
MORTE: Forse non esiste.»
Ingmar Bergman
«MORTE: Non smetterai mai di fare domande?
CAVALIERE: No, non smetterò mai.
MORTE: Tanto non avrai mai risposta.
CAVALIERE: A volte credo che le domande siano più importanti delle risposte.»
Ingmar Bergman
«CAVALIERE: Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli.
MORTE: Ma Lui tace.
CAVALIERE: Lo chiamo nelle tenebre, ma a volte è come se non esistesse.
MORTE: Forse non esiste.»
Ingmar Bergman

Sunday 29 March 2020

La canzone del mare (Song of the sea)

Song of the Sea, di T.Moore film di animazione del 2014. Candidato all'Oscar come miglior film di animazione 

Perché guardare questo film?

Il titolo e la grafica fanno pensare unicamente a un pubblico bambino: è una fiaba, ci sono animali parlanti e i protagonisti sono Ben, la sorellina Saoirse e il cane Cu. In questo quadro “bamboleggiante” si inseriscono, però, personaggi della tradizione celtica come le selkie, creature mitologiche sacre capaci di trasformarsi da foche in esseri umani. Partiamo proprio dalle Selkie: spesso sono protagoniste di storie allegoriche sul dolore, il dolore della perdita tra le acque di una persona amata.

Perché guardarlo proprio ora?

Questo film parla di resilienza, di capacità di rielaborare un lutto attraverso un viaggio reale, ma, al contempo, interiore. I protagonisti sono bambini, perché solo attraverso gli occhi dei bambini si può parlare al cuore.

Questo film mi porta immancabilmente a pensare a Francie Brolly, con quella eco irlandese nel suo parlare, gli occhi dolci di chi ha vissuto tanto dolore, ma lo ha superato senza acredine: lui è il mio esempio di resilienza, la dolcezza e l'amore di condivisione anche dopo aver vissuto sulla propria pelle la segregazione e la disuguaglianza sociale. La Compagnia è il più alto esempio di resileinza.
“Se qualcuno ti dicesse che può portarti via tutto il tuo dolore, glielo permetteresti?”
Questa è la domanda di fondo.

Se qualcuno ci dicesse che possiamo allontanare con un colpo di spugna tutto il dolore di questi mesi, glielo premetteremmo?

Cosa possiamo imparare da questi mesi di quarantena, di paura, di insicurezza? Il dolore va accettato, accolto e rielaborato per poterlo superare: il dolore di abbandonare false credenze di sicurezza e invulnerabilità (economica e di potere) possono portarci a una nuova amicizia tra popoli.

Ecco perchè questo film merita di essere visto ...

LM

Saturday 28 March 2020

L'altro volto della speranza

L'altro volto della speranza
(Finlandia 2017, di A.Kaurismaki)

L’ultimo film di Aki Kaurismäki, giunge dopo un altro capolavoro sul tema dell’accoglienza e dell’altro; Miracolo a Le Havre. Qui incontriamo Wikström, un uomo alle soglie della pensione, che lascia la moglie e decide di aprire un ristorante nella periferia di Helsinki. Nello stesso momento Khaled, giovane rifugiato siriano in fuga da Aleppo, chiede asilo politico al governo finlandese. Quando si vede negare l’accoglienza Khaled fugge e, incontrato per caso Wikström, inizia a lavorare nel ristorante come inserviente. Wikström, con l’aiuto dei tre originali dipendenti del locale, procura al ragazzo dei documenti falsi e cerca di aiutarlo a rintracciare la sorella di cui ha perso le tracce dopo la fuga dalla Siria.

Wednesday 25 March 2020

Lettera dalla scuola ai tempi del coronavirus


Questa è la magistrale lettera che il preside del liceo Volta di Milano, Domenico Squillace, ha scritto a tutti gli studenti della scuola e pubblicato sul sito. Perdete qualche minuto per leggerla: è un capolavoro
AGLI STUDENTI DEL VOLTA
“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..”
Le parole appena citate sono quelle che aprono il capitolo 31 dei Promessi sposi, capitolo che insieme al successivo è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che vi consiglio di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi. Dentro quelle pagine c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria…. In quelle pagine vi imbatterete fra l’altro in nomi che sicuramente conoscete frequentando le strade intorno al nostro Liceo che, non dimentichiamolo, sorge al centro di quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala, Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma più che dal romanzo del Manzoni quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un giornale di oggi.
Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile, non a caso la chiusura forzata delle scuole è qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali. Non sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le indicazioni, quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro.
La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.
Vi aspetto presto a scuola.
Domenico Squillace

Tuesday 24 March 2020

Ordet (La Parola) di K.T.Dreyer

Ordet
Drammatico, Danimarca 1955, di K.T.Dreyer


“Il film di questa sera si intitola Ordet, che vuol dire “la parola”, il verbo. La situazione che presenta è quella del modo di vivere la fede; bisognerebbe andare a riprendere che cosa è la fede. Quello che abbiamo spiegato di quelli che seguirono Gesù, la fede era riconoscere un presenza, riconoscere uno presente, riconoscerne l’autorità, il valore, quindi, fidarsi di lui. Questo è controcorrente rispetto alla mentalità normale.