Thursday 12 November 2020

Feliz cumpleaños ICTE!

Oggi festeggiamo il 30^anniversario dell'Università ICTE, istituto científico técnico y educativo, fondato nel 1990 dal professor Giovanni Riva a Città del Messico. Auguri!

Friday 10 July 2020

Il cristianesimo in Giappone di Angela Volpe per l'Urbaniana University Press

E' possibile vedere la presentazione del libro della professoressa Angela Volpe, edito da Urbaniana University Press, con la società Dante Alighieri, a questo link:

Il cristianesimo in Giappone. Storie di coraggio e dolore


"Nel 1981, mentre frequentavo l'Istituto Universitario Orientale di Napoli, mi imbattei in un testo dello storico inglese Ch.R. Boxer, The Christian Century in Japan, del 1951. Fu la scoperta di un mondo totalmente sconosciuto, perché nessuno, fino ad allora, mi aveva parlato della storia del cristianesimo del Giappone e dei martiri, innumerevoli, - a tutt'oggi non si sa con precisione quanti siano stati - che ci furono dal XVI al XX secolo" (da La Missione in Giappone. Gli inizi, p. 11).



Angelina Volpe è nata ad Agropoli nel 1959. Dopo aver conseguito nel 1983 la laurea in Lettere e Filosofia (indirizzo orientale) all'Istituto Universitario Orientale di Napoli, ha ottenuto il dottorato in Missiologia nel 1989 alla Pontificia Università Gregoriana, con una tesi sui cristiani "nascosti" del Giappone (Kakure Kirishitan). Vive in Giappone da 26 anni, dove insegna, all'università cattolica Nanzan, materie come: Studi cristiani, Religioni e civiltà, Antropologia cristiana e Dignità della persona. E' membro dell'associazione internazionale di fedeli Opera di Nàzaret, riconosciuta da Giovanni Paolo II nel 1999. Tra le sue pubblicazioni: I Kakure, Nososha, Tokyo, 1994; Koe, ningen to sono tamashii (La voce: l'uomo e la sua anima), Don Bosco, Tokyo, 1996; 20 seiki no seija (i santi del ventesimo secolo), Don Bosco, Tokyo 2010; Quattro cristiani, Officina delle 11, Agropoli 2014. Tra le traduzioni: Giovanni Riva, Iesu wo shiru tame ni (Per conoscere Gesù), Don Bosco, Tokyo 1999. Dello stesso autore Chiisana kirisu-tokyo ningengaku (Piccola antropologia cristiana), Don Bosco, Tokyo, 2001. 

Tuesday 30 June 2020

#maicosìvicini con le Biblioteche di condominio

Biblioteche di condominio

Venerdì 17 aprile 2020, dopo circa un mese dal'inizio della quarantena, un gruppo di volontari dell'associazione ISI - I Sant'innocenti, per lo più insegnanti, educatori, studenti universitari, giovani desiderosi di potersi rendere utili nelle necessità che la circostanza chiedeva, hanno cominciato questa semplice, ma entusiasmante attività delle "Biblioteche di Condominio". #maicosìvicini# è stato lo slogan e il titolo che abbiamo voluto dare a tutte le iniziative messe in campo da ISI nell'emergenza covid-19, quando la necessità, doverosa, della distanza sociale sembrava aver sostituito l'interesse per il "mio vicino", per chi è meno fortunato di me, per chi sta vivendo questo lockdown con estrema difficoltà.  Davanti all'invito "io resto a casa" tanto proclamato dai media, e sicuramente giusto per la sicurezza di tutti in questo periodo, abbiamo pensato che cosa potesse significare un tale invito per bambini e anziani, per chi vive in case di pochi metri quadrati (e magari pure in una famiglia numerosa), per chi a "casa" non ci sta bene per gravi motivi e situazioni spesso precarie e disagiate, sia a livello economico che a livello sociale.

E allora organizziamoci per farci "vicini" di casa davvero a tante situazioni di bisogno! per condividere la situazione drammatica di tanti, per far sentire meno soli e annoiati i bambini, meno soli e non ascoltati gli anziani e, perchè no, perchè la "distanza sociale" non diventi "menefreghismo".

 

Questo è il racconto di un lavoro concreto, fatto di tanti aspetti e necessità concrete, che hanno richiesto una seria organizzazione, una suddivisione dei compiti, un impegno del proprio tempo e una gratuita e lieta disponibilità. 

Dopo aver verificato la possibilità di poterci muovere, conformemente alla normativa e con il supporto del Centro Servizi per il Volontariato Emilia DarVoce, che ci ha fornito anche mascherine, disinfettante e autorizzazioni alla circolazione, abbiamo cominciato la diffusione del volantino sia sui social media che nei luoghi interessati (supermercati, studi medici, farmacie e ospedale, nei pochi negozi aperti, ecc). 

La prima necessità, da "buoni vicini" di casa, è stata quella di offrirsi per andare a fare la spesa ad anziani timorosi di uscire, a prelevare ricette mediche e ritirare medicine in farmacia etc. 

Fortunatamente nel comune di Reggio Emilia, per il servizio di spesa a domicilio, si sono via via attivate anche molte altre associazioni e quindi, coordinandoci con loro, abbiamo avuto la possibilità di dedicarci in modo particolare ai bambini e alle famiglie delle zone più "disagiate" della città.

Come andare incontro alle necessità dei bambini e ragazzi che, in certe zone di Reggio Emilia, vivono in grandi palazzi/condomini e che hanno poche possibilità sociali, economiche e culturali? Come “alimentare” la loro umanità, umanità che, a maggior ragione nei giovani, è totalmente protesa a accogliere ogni provocazione e ogni esperienza gli si propone? Molti di noi, insegnanti, stavamo vivendo in prima persona il peso della didattica online e ben consce del disorientamento sociale e della perdita di approcci educativi che questo avrebbe significato per tanti bambini e ragazzi in difficoltà, abbiamo pensato ai libri: bookcrossing, prestito sospeso, biblioteche chiuse, impossibilitati economicamente agli acquisti online, ripiegati sui tablet e smartphone... perchè non fare arrivare in tutte le case dei libri per i bambini più piccoli, romanzi e racconti per i più grandi, storie per tutti?

 

Inizialmente ci siamo impegnati a fare chiamate tra amici e conoscenti per raccogliere libri e giornalini; settimanalmente abbiamo selezionato i libri, che sono stati disinfettati e suddivisi in cassette, tenendo presente le varie fasce di età, e consegnati nei condomini, preoccupandosi di cambiarli e disinfettarli ogni settimana. I libri, suddivisi in buste di plastica disinfettate, nelle cassette, erano corredati di segnalibro che indicava le istruzioni della "Biblioteca di Condominio" e indicava la data del ritiro/cambio della stessa.

Per potere svolgere questo lavoro è stato di grande aiuto l'appoggio prestato da ACC.QUA (Accademia di Quartiere) associazione, rinnovata dallo scorso settembre, che ha dei bellissimi locali in via Paradisi e che ci ha messo a disposizione per permettere la raccolta delle cassette, la sanificazione dei nuovi libri, la ridistribuzione e che ha coinvolto anche altri amici che si sono resi disponibili a lavorare con noi come volontari.

 

Il lavoro è iniziato in pieno lockdown: si respirava tra i volontari la felicità di poter uscire per impegnarsi in un lavoro rivolto all’altro, che valorizzi la lettura, come strumento non solo per uno sviluppo didattico, ma anche per una crescita personale; la felicità di incontrarsi con colleghi insegnanti, giovani universitari e volontari, per mettersi a disposizione delle necessità, organizzandoci in piccoli gruppi per poter portare la cassetta con i libri in più palazzi possibile.

 

Il giornaliero confronto, per poter migliorare il nostro lavoro e per affrontare le criticità che si presentavano, ci ha permesso di mantenere vivo il desiderio di offrire un servizio il più possibile utile e facilmente usufruibile dai giovani e dalle famiglie con bambini.

Il libro è una grande risorsa "sociale"; ha staccato bambini e ragazzi per un po' da marchingegni elettronici, ha aiutato mamme a dare qualche spunto educativo ai bambini e, alle volte, ha aiutato anche un po' la mamma stessa a imparare meglio l'italiano, ha dato interesse anche agli anziani che, un po' come i bambini, sono ancora curiosi di conoscere, di leggere, di sapere un po' di tutto...

 

 Nel giro di qualche settimana è stata "coperta" la zona di via Turri, via Paradisi, via Monte san Michele. Poi, un pomeriggio, consegnando cassette in via Turri, una signora ci ha chiesto perchè non portavamo i libri anche a casa sua, per i suoi bambini e i suoi vicini: e allora abbiamo "allargato il giro" con alcuni civici di via Emilia Ospizio e di via Cellini.

Dopo la prima raccolta di libri, aggiungendosi più condomini e volendo anche dare "ricambio" ai libri delle cassette, perché potessero usufruirne sempre più persone, abbiamo nuovamente dialogato con le altre associazioni e enti che in questo momento erano impegnate sull'emergenza; grazie a Dar Voce, Re Mida ci ha donato una cassetta di libri, la Cooperativa DORA ci ha donato tanti altri libri; i genitori della scuola materna Miro si sono organizzati per raccogliere, tramite una volontaria, altri libri.

L' attività ha visto tante belle e importanti donazioni e aiuti da parte di tutti: una famiglia ci ha richiesto una cassetta vuota, questa volta non per fornire libri al suo condominio, ma per raccoglierne da donare ad altri. Hanno spiegato ai condomini la loro iniziativa e hanno messo la cassetta all'ingresso del palazzo in modo che tutti potessero dare libri.

 

La "distanza sociale" ha, quindi, dato il via a una rete di nuovi rapporti tra volontari e famiglie, tra famiglie dello stesso condominio, tra volontari di diverse associazioni, tra amici che hanno coinvolto altri amici nella raccolta di libri, nella distribuzione delle cassette, nella sanificazione, nella pubblicità.

Con la fine del lockdown e la chiusura delle scuole abbiamo deciso di non sospendere questa attività, ma di evolverla: per invitare la gente a riprendere l'attività nella normalità (o quasi), in collaborazione con ACC.QUA abbiamo allestito una biblioteca presso il centro di via Paradisi dove i libri sono consultabili da tutti e a disposizione di tutti. La storia quindi continua…


a cura di The Great Teachers


Monday 29 June 2020

Andrea Romani a ICTE: Educación como Desarrollo Humano (quarta parte)

“EDUCERE”


La palabra educación deriva de “ex” (que quiere decir “de” o “desde”) y de “ducere” (que quiere decir “conducir” o “guiar”). El sentido sería él de “conducir afuera, sacándolo desde adentro”, o de “sacar afuera”. Por lo tanto, educar al hombre sería “sacar afuera el hombre”, hacerlo crecer: hacer surgir el hombre total, que ya está presente, come germen. 


Nuestros antepasados, utilizando este término seguramente ya habían entendido cuales podían ser los errores más graves de una falsa educación. Los hemos visto: el escepticismo (la duda sistemática), el individualismo (la ausencia de relaciones estables), la imposición (poner arriba una carga) y la oposición (poner algo en contra). Con esta inteligente y visual palabra (“sacar afuera”), se eliminan todas estas posturas erróneas, porque se elimina el hecho de que el adulto pueda “poner adentro” algo en el joven. 


La educación no es un llenar al joven de nociones, un “poner adentro”, sino un “sacar afuera”. El máximo error, que sintetiza los errores de todas las falsas educaciones, es el “poner adentro”; y, muchas veces, con el auxilio de fuerzas impositivas de distinto tipo. Se pretende poner, adentro del corazón, de la mente y de la consciencia del joven, algo que nos parezca importante y necesario. 


El “poner adentro” incluye oposición, siendo que el joven ser humano no está hecho para que se le ponga adentro algo, sino porque se le saque lo que él tiene que ser. El “poner adentro” incluye también imposición, porque el joven será “llenado” según lo que dicen algunos programas o algunas ideologías ya hechas. El “poner adentro” incluye escepticismo, siendo que un maestro pone adentro su idea y otro maestro una contraria, así que el joven duda de cuál sea la verdad. El “poner adentro” incluye individualismo, porque es un nocionismo en el cual reina el desinterés del maestro por la humanidad del alumno. 


Nosotros, la mayoría de las veces, no tomamos en cuenta el hecho que el joven ya tiene en sí mismo las semillas de todas las verdades. Nosotros, seamos padres o profesores, no somos los dueños de la consciencia y de las verdades conocidas por un hombre. 


Por lo tanto, para traducir la palabra “educación” en el contexto de hoy, yo tendría que utilizar un término sintético que exprese la compañía de ayuda desinteresada que pueda establecerse entre un hombre adulto y un hombre más joven. El hombre adulto (que habíamos llamado “provocador”) acompaña al joven hacia su personal destino y su propia realización. La palabra “acompañar” (o “acompañamiento”) podría ser la que mejor substituya, para entendernos, la palabra “educación”, identificando la relación educativa en su esencia. 



AUTORIDAD y ALUMNO


El proceso educativo que, por todo lo que hemos visto, es una relación humana se compone de dos factores: la autoridad y el alumno. 

 

El provocador, presencia importantísima para la educación, se llama, tradicionalmente, “autoridad”: y seriamos nosotros adultos, padres y maestros. Sé que la palabra “autoridad” conlleva consigo muchas falsas interpretaciones y muchos abusos. Pero, la raíz latina de esta palabra es muy hermosa: se deriva del verbo “augeo”, que significa “aumentar”, “hacer más grande”, “hacer crecer”. Por lo tanto, esta palabra se une magníficamente con la otra (“educación”): la autoridad no es aquél que impone o pone a fuerzas algo adentro, sino es aquél que hace crecer el germen que hay adentro. 


Podríamos substituir la palabra autoridad, si a ustedes les parece, con la palabra “provocación” o con la palabra “compañía”, que tal vez se ven menos deturpadas en la historia de sus utilizaciones. Podríamos decir que la educación es un acompañamiento provocativo. Una compañía es algo vivo y viviente, algo comprometido contigo, algo que se interesa por ti, algo plenamente humano, y, por lo tanto, algo provocativo. Una compañía provocativa saca lo que está adentro, lo que no llegaría a su madurez si nada de externo lo provocara.


Hablo del alumno por segundo, pero él tiene el primer lugar. El alumno es el centro del proceso educativo: es alrededor del joven que se mueve este humilde trabajo. Espero que ustedes no pongan jamás su persona o su cabeza al centro en algo educativo. La guía consiste en el servicio desinteresado, que no quiere ni recompensas ni agradecimientos. Cuando un joven se vuelve grande y hace su propia vida, deberíamos poder decir: “somos siervos inútiles”. 


La palabra “alumno” se deriva también del latín: de “álere”, que significa “respirar”; de aquí, entendemos también la palabra “aliento”. El aliento era, para los antiguos, el signo propio de la vida; el temblar de una vela encendida bajo la nariz daba el signo de la presencia de un cuerpo todavía viviente. El alumno es aquél que desea la vida, que busca la vida, que está en vías de desarrollar siempre más su vida, su personalidad, su libertad. 


Si el alumno es el centro de la relación maestro-alumno, el fin de toda educación es que se desarrolle en él la vida en su plenitud. La vida en su plenitud es la libertad. El fin de la educación es que maduren hombres libres. Esta perspectiva hace cambiar la manera de ver una escuela y pone una cierta sombra de sacrificio en nuestras tareas de educadores, siempre en peligro de ser posesivos y de manipular. 


PROPUESTA 


En la edad evolutiva hay muchos y repentinos cambios y llega el momento en el cual el padre o el maestro tienen que dejar que el joven se aleje siempre un poco más de ellos, para que pueda averiguar lo que aprendió, para que pueda darse cuenta de la realidad, para que pueda aplicar las verdades conocidas, para que pueda ponerlas a la confrontación con los demás. Esta lejanía es, en realidad, una apariencia de lejanía: el joven se va a sentir, si lo dejamos libre (siguiéndolo como con la cola del ojo y siempre estando disponibles a él y queriéndolo), más unido con nosotros, más amigo, más ligado también afectivamente. 


Los dos factores (autoridad y alumno) están en relación entre sí. Esta relación es un camino en el cual, a la vez, como hemos visto, progresan los dos y, en particular, el joven logra su libertad de hombre adulto. En este camino, se necesita mucho ánimo por parte de la autoridad: el joven es un ser en acción, necesita que le usemos paciencia; que le dediquemos tiempo; que nos apliquemos a los problemas de su vida; que seamos al mismo tiempo exigentes e indulgentes. Necesita, sobre todo, que confiemos en su responsabilidad y en su libertad. 


En la edad en que, crecido el niño, se despierta la libertad del adolescente, él encuentra, en su relación con el educador, no únicamente verdades científicas, sino también valores (o sea verdades que valen para la existencia humana como tal). El niño pequeño no se hacía problemas sobre ellas: le pasaban como por ósmosis del contacto con sus papás y sus maestros; el adolescente, al contrario, empieza a ponerlas en duda, a meterse en problemas, a confrontar, a buscar afuera, a ver si hay un camino verdadero. Es aquí en donde más vale todo lo que hemos dicho hasta ahora.


La mejor postura (siendo que yo, padre o maestro, no podría no ser lo que soy, ni mostrarme a él como “neutro” y sin valores) es la de la “propuesta”. Se trata de una propuesta a la libertad. Hay momentos en que el joven pondrá en crisis todo lo que le hemos dado; y, si le hemos impuesto algo, se rebelará. Si le hemos propuesto lo que somos en libertad, apreciará y amará quien le dejo la libertad de elegir, aun si él se ira por un camino de valores distinto de lo que le habíamos propuesto. La gran lucha de un educador es que él trabaja para la libertad.


Los educadores realizan la tarea más grande de la vida, es una aventura y un arte al mismo tiempo. Ser una compañía provocativa hacia una humanidad libre y responsable. No deserten su tarea; la necesitamos. Por mi parte, creo que, para un hombre, haber cumplido esta tarea sea su más rica herencia y su más grato testamento para sus hijos, alumnos y todos.


Thursday 25 June 2020

Andrea Romani a ICTE: Educación como Desarrollo Humano

LOS DESERTORES


En la historia que les conté, los dos ancianos, padres o abuelos que fueran, eran incapaces de ejercer una tarea de provocadores, mudos y enfermos como eran. Tomándolos como hipótesis de trabajo, la niña no se desarrollaba. A partir de este triste caso negativo, se prueba la verdad de lo que hemos descrito. 


Lastimosamente hoy hay padres que no son como los dos de la novela y, sin embargo, desertan sus responsables tareas de provocadores. Hay padres que prefieren desertar su tarea de responsabilidad educativa, tomando la fácil y cómoda excusa de no ser capaces. Sin embargo, la regla natural según la cual se entiende adhiriendo vale también para los papás; la provocación es reciproca. 


Hay otros que, en la tarea educativa, esperan siglos, mientras que el tiempo es ahora. No es posible que el niño vea y entienda antes de hacer o de adherir. Tampoco es posible que el joven actúe de manera correcta únicamente actuando por su cuenta. A veces, hay genitores y nada más, o sea hay unos que engendraron únicamente los hijos, sin interesarse ni de darles de comer. Otros les dan de comer y mucho más, pero a condición de que no molesten con sus muchos problemas. Algunos, los dejan muy libres, pero de una libertad que los hijos mismos interpretan, en los momentos de sus crisis de adolescentes, como desinterés. Otros les dan carro y dinero, y les consiguen una buena carrera profesional, pero sin darle un sentido para la vida. La verdad es que es muy incómodo, para unos padres (y también para unos maestros), tomar en serio su tarea educativa, porque tendrían que ponerse a revisar su propia vida, ya instalada y bien fija. 


No se confundan: la provocación educativa de los padres no tiene que coincidir, a parte unos casos muy graves y a parte la primera edad, con una cercanía física constante, la cual puede a veces demostrar una actitud muy negativa y obsesiva.  


La provocación educativa inscrita en la naturaleza tiene su punto de partida en un amor gratuito. Es un amor desinteresado, que ofrece su servicio sin nada pretender, que ofrece ayuda, que pone remedios donde se necesiten, que no es movido por interés o por una correspondencia celosa, que sabe expresarse en formas distintas según las edades y los distintos caminos. Sobre todo, diría yo, es el estar “enamorado” del destino bueno de la vida del otro, de su preciosa libertad y de su responsabilidad delante de la historia y de la humanidad. 


Todo esto implica el misterio del ser humano; y pone delante del adulto su tarea primera, la de revisar su propia existencia y, en todo lo necesario, cambiar manera de actuar, para no desertar de ser provocadores a la vida: esto nos dice la misma naturaleza. 



LA LIBERTAD


Estamos viendo lo que nos dice la naturaleza sobre nuestro tema educativo. No hay nada que pueda mejor sugerirnos criterios. La experiencia de la naturaleza, que es parte de la experiencia personal de todos, es algo común a los hombres de cualquier época y de cualquier raza. 


Otra cosa que nos sugiere la naturaleza es que la provocación no puede ser oposición (poner algo contrario), ni puede ser imposición (poner algo arriba, como un peso o una carga. La provocación verdadera es un amor; por lo tanto, no puede ser oposición, no puede ser ponerse en contra de algo que hay en el otro. 


Todos recordarán con mucha lástima aquellos maestros que, con sus palabras, los mortificaron, por como le costaba escucharlos, los temían, no tenían ganas de seguirles. Al mismo tiempo, permanece en los recuerdos la cara de aquella maestra de la que nos dábamos cuenta que nos quería y de ella, de su sonrisa y de sus miradas, habríamos podido aprender todo. Creo que sea experiencia de todo alumno la de no lograr aprender bien una materia impartida por un profesor “antipático” (en latín, quiere decir “contrario a mis sentimientos”). 


Tampoco ha de existir imposición: la provocación es una propuesta, no se puede imponer. Hay casos, raros, en los cuales puede darse un gesto excepcional y necesario, como lo es él de intentar las formas para obligar el niño a tomarse la medicina que no le gusta o alejarlo mientras pondría los dedos en una toma de corriente eléctrica (es el caso de daños graves para el joven mismo o los demás). Un gesto impositivo de este tipo, sin embargo, no puede ponerse jamás para satisfacer un deseo de afirmación de un poder, es algo que puede darse únicamente dentro de un contexto ya existente de relaciones de amor. Afuera de estos casos límites, la imposición contradice la naturaleza y la misma experiencia razonable de cualquier hombre. 


Lo que desearía que quedara claro es que una verdadera provocación educativa hacia el desarrollo de una persona no puede existir si hay oposición o imposición. Ambas provocan un rechazo, porque la consciencia del joven no participa al proceso de madurez. Hasta cuándo estará obligado, aceptará. Pero, llegado el momento en que podrá moverse por su cuenta, se rebelará a todo lo que había aceptado sin querer, por imposición u oposición. La naturaleza del proceso educativo exige un clima de libertad. 



Monday 22 June 2020

Andrea Romani a ICTE: Educación como Desarrollo Humano (seconda parte)

LA EXPERIENCIA PERSONAL 


Quiero pasar al otro aspecto del método que dije que iba a utilizar: tomar como punto de referencia la naturaleza humana misma. Cada uno tiene que juzgar en base a su propia experiencia. Sin embargo, hoy nuestra experiencia se encuentra, podríamos decir, bombardeada por múltiples y complejas interpretaciones, ideologías, intereses y medios. 


Hoy, uno de los ejemplos de experiencia personal parece ser la duda: uno se presenta como realmente maduro, sabio y rico en su experiencia personal cuando puede y sabe ser escéptico y dudar de todo. Este tipo de hombre jamás podrá ser educador verdadero: el joven necesita de certezas, necesita de apoyo firme. Estoy hablando de la duda sistemática, no de la justa duda que puede nacer después de una investigación. La duda sistemática impide lo que el hombre tendría que hacer y que el joven desea: entregarse a la realidad. 


Otro de los ejemplos de experiencia personal de hoy es la libertad entendida como individualismo absoluto. Este tipo de hombre tampoco podrá ser educador verdadero, porque su vida es ausencia de responsabilidades y de palabras confiables para con los demás. Para el joven que desea encarar el amor, el trabajo y una tarea personal en la vida, la expresión plena de la libertad no es la ausencia de ligámenes, sino la construcción de ellos. 


Delante del joven, que es algo “todo nuevo”, el adulto ve de que manera tendría que cambiar su vida, sobre todo si es padre, maestro, educador. Por eso, me pregunto si un hombre de nuestros días, educado en las ciencias empíricas y matemáticas, en el escepticismo y en el individualismo, pueda dedicarse a un examen serio de un argumento que implica el misterio de las relaciones intrapersonales e interhumanas, como lo es la relación educativa entre maestro y alumno, entre un adulto y un joven. 


De esta breve reflexión, deseo dejar claro que el profesor es un ser humano, antes que ser un profesor, y no podrá ponerse delante del joven escondiéndose come persona. Por lo tanto, su primera tarea, también como persona es (aún antes de la importantísima relación entre maestro y alumno) la de recuperar y retomar el sentido de su propia experiencia humana. Él deberá encarar su humanidad a la raíz, entregándose a su propria vida, a sus intereses profundos y verdaderos, incluidos los de sus materias profesionales. Así el profesor podrá tener una propia y personal experiencia que le sirva como criterio para juzgar. Además, será sincero con el joven, presentándole la verdad de sí mismo y no una máscara o mentira, de la cual el joven muy pronto se va a dar cuenta.




LA NATURALEZA


Preguntémonos, primero, cuáles sean la regla y el método de la naturaleza para el desarrollo de un hombre. La respuesta queda delante de los ojos de todos. La naturaleza pone el hombre dentro de la realidad y de la vida sin que él ya la conozca (y sin haberlo antes preparado demasiado, dado el cuerpo pequeño y débil que sale del vientre de su mamá). Se comienza la existencia como algo no desarrollado. “Haciendo se aprende” es una expresión que tiene un fondo verdadero, porque así actúa la misma naturaleza: nos pone adentro de la realidad antes de estar completamente desarrollados como hombres. Estando allí es que nos desarrollamos. Podríamos decir que se entiende adhiriendo. 


Existe una historia de exploradores que llegan a un pueblo lejano y, en una cabaña pobre, en la casa de dos ancianos cónyuges mudos y enfermos, ven algo que se mueve en el piso, bajo un mantel. Acercándose, se dan cuenta que se trata de una niña, ya bastante grande, que todavía no reacciona a nada. No reacciona por el motivo que, siendo sus padres mudos e inamovibles, ella no tenía, en sus alrededores, ninguna provocación. El hecho es que aquel germen, que es el hombre recién nacido, no se desarrolla si no tiene provocaciones. 


La palabra “provocación”, que se deriva del latín y está compuesta por “pro” (adelante) y por “vocación” (llamado), expresa la función de quien pone delante algo llamativo. En este caso, se refiere a la acción de quienes ponen, delante del joven, el llamado, real e ideal, al cual él está destinado en su vida. Se trata de un término que recubre, al mismo tiempo, un sentido como él de despertar en mí algo que todavía está dormido y él de ayudarme, protegerme y promoverme. En términos tomados de las ciencias naturales, se puede hablar de “hipótesis de trabajo”: el niño recién nacido toma como hipótesis de trabajo para moverse sus papás, sus inmediatos provocadores. El niño, adhiriendo a ellos, entiende, paso tras paso. 


La mamá que sonríe al niño en la cuna es una provocación, la leche de su pecho es una provocación, el intento de hablarle al niño para que él mismo empiece a hablar es una provocación, etcétera. Más adelante, con el desarrollarse del niño, se darán otras provocaciones, no únicamente materiales sino también psíquicas y espirituales. La educación tomará un camino siempre nuevo, moldeándose según los distintos pasos de aquella época de la vida que tradicionalmente se llama “edad evolutiva”, por sus muchos y repentinos cambios. La educación es, básicamente, esta provocación y está basada en el hecho de que el joven, desde niño hasta su madurez, tenga, de forma distinta según su cambiante camino propio, unos provocadores en este sentido. Sin la existencia de provocaciones, la vida acaba su desarrollo: esto nos dice la misma naturaleza.


Thursday 18 June 2020

Andea Romani a ICTE "Educación como Desarrollo humano"

Hablar de educación y de desarrollo humano es tener un enfoque hacia los jóvenes, o sea hacia la que se llama la “edad evolutiva” o el período del más intenso desarrollo humano. Se trata del momento en el cual las jóvenes y los jóvenes viven la edad decisiva, entre los trece y los veinte años, en la que dos o tres “sí” o “no” deciden de la construcción fundamental de una personalidad. Consideren que cada uno es único y no será repetible jamás en la historia de todo el universo. Por otro lado, hablar de “escuela” o de “salón de clase”, para mí, ha sido siempre decir el nombre de personas, una por una.


Los padres, los profesores y los maestros somos los que tienen una responsabilidad inaudita delante de las personas, de nuestros Países y, yo diría, del mismo dios. Esto por amor al hombre en su realización individual y por amor a la sociedad como lugar de libertad en el convivir y en el construir juntos.


Hoy, estamos adentro de una “homologación”, que se vuelve siempre más poderosa gracias a los instrumentos de comunicación masiva, que nos quiere todos iguales. La tendencia es aquella que las escuelas donde prevalece la relación maestro-alumno sean substituidas por burocracias anónimas, por reglas sobre reglas, para dar lugar a un proceso de formación fundado en un sistema instructivo y educativo de tipo publicitario. 


Entonces, serán necesarios de hombres y mujeres que crean en su destino grande y en su valor; que decidan sacrificar sus vidas para dedicarse a un trabajo educativo que recupere la ineliminable función humana y social de acompañar personalmente a los jóvenes. Ellos tienen una impresionante necesidad de alguien que los acompañe sin manipularlos, ellos desean la cercanía de una más grande humanidad, exigente e indulgente al mismo tiempo, que les esté cerca sin ser pesada ni oprimente.


Siendo el problema muy grave y actual, no quiere ser, el mío, un discurso completo sobre la pedagogía y la educación, sino poner unos puntos muy elementales, que me parecen fundamentales en cualquier planteamiento educativo. Haciéndolo, voy a utilizar dos caminos que son muy sencillos: el primero consiste en el hecho de explicar palabras que se usan en la descripción usual del proceso educativo, mientras que el otro consistirá en el tomar como punto de referencia la naturaleza misma, sin ideologías preconstituidas.



EL SENTIDO DE LAS PALABRAS


Descubrir el sentido de las palabras parece sencillo; pero, en realidad, se trata de un trabajo para hacer el cual se necesita de una buena dosis de fatiga. A veces, se dan a los alumnos de clases tareas de etimología, para que entiendan el origen de los términos que utilizan. Pero, este trabajo corre el riesgo de no lograr bien su objetivo, porque no se trata únicamente de conocer de donde se derive una palabra, sino de conocer su contexto histórico y de entrar en el mundo que le ha dado su origen: se trata de ensimismarse con la mentalidad del pueblo que la inventó. Por otra parte, hoy, vivimos en un mundo en el cual muchas palabras, por la publicidad que desacraliza todo, se adaptan a tener muchos sentidos, a veces también opuestos y muy lejanos de su origen. 


La fatiga es necesaria porqué la mentalidad que tenemos nos ha distraído del valor del hecho humano. Todo, hoy, el amor también, se mide con dinero. Nada parece plenamente razonable si no tiene su precio. Se ha difundido una grave mentalidad según la cual los éxitos materiales son los únicos elementos que constituyen un conocimiento cierto y hasta una bendición de parte de dios. Una cierta fatiga será entonces necesaria, porque se trata de una lucha contra algo que está dentro de nosotros, la mentalidad común. Ustedes confronten lo que de mí escuchen con lo que, al respecto, le sugiere su vida real. 


También en este sentido, es muy útil el hecho de explicar las palabras. Diría que es necesario, porque la lucha contra la mentalidad dominante siempre es una lucha sobre las palabras. Pongamos la palabra “consciencia”, o la palabra “libertad”, o la misma palabra “amor”. Hay que luchar para una correcta interpretación de las palabras; de otra forma, la convivencia se vuelve confusión. Nosotros los profesores, por ejemplo, decimos palabras que tienen siglos de historia y, muchísimas veces, las utilizamos sin darnos cuenta de su contenido. 


Nuestro trabajo de maestros y de profesores es maravilloso, porque, en nuestras clases, iniciamos a una verdad a quienes no la conocen. Este es un trabajo que debería permitirnos encarar siempre y de nuevo la realidad, volviéndonos, nosotros mismos que la exponemos, más elementales, más esenciales y más sintéticos. A veces, se confunde todo con una postura de rigidez nocionísta o con una actitud sentimental para con los alumnos o con una vaga humanitaria incitación al bien, al deber y al estudio. Me parece equivocado que muchos educadores quieran conocer todas le ciencias modernas y no se preocupen por conocer los elementos fundamentales de aquella experiencia que es su tarea diaria: la relación educativa. 


Tuesday 16 June 2020

Educare: accompagnare (ora più che mai)

Educare è non mettere in quarantena il cuore








The Great Teachers è un’associazione internazionale presente in El Salvador, Honduras, Guatemala, Messico, Giappone, Italia e Francia. È formata da educatori che lavorano dell’ambito dell’educazione formale e non formale. Partendo dal nostro interesse e dalla nostra preoccupazione per il tema dell’educazione, cerchiamo di dare un giudizio e di aiutarci reciprocamente nella nostra professione. 

Ciò che ci ha spinto a iniziare questo lavoro insieme è stato il renderci conto che, davanti a un giovane o a un bambino, non basta trasmettere le conoscenze richieste dalle materie e dai programmi di studio o avere tecniche perfette; educare è trasmettere una umanità differente, risvegliare nel giovane le domande che porta in sé, che ognuno ha dentro, nel suo desiderio di felicità e nella ricerca di un senso per la sua vita.  

Per aiutarci in questo compito, abbiamo deciso di lavorare insieme come una comunità educante –come la chiamiamo tra di noi-; ma, in primo luogo, è nata un’amicizia tra noi che ci dedichiamo all’educazione.

Stiamo vivendo un momento difficile in tutto il mondo e noi non siamo esenti dagli avvenimenti e dalle lotte umane che tutti stanno affrontando. Molte sono le domande che ci assalgono e la circostanza ci mette in discussione; lo vediamo tra noi adulti, ma soprattutto nei nostri studenti, che in questa quarantena si sentono piuttosto “smarriti” e, a volte, addirittura inutili perché possono fare poco o niente; non riescono neppure ad organizzare le loro giornate: sembra che si tratti di tenerli “occupati” e “intrattenerli”, riempiendoli di materiali, compiti, verifiche, lezioni; e forse così sono pieni di cose da fare, ma viene zittita la domanda che hanno al fondo e non sono aiutati a scoprire la voce del loro cuore. 

Alla fine, scelgono di restarsene comodi in casa, aspettando che tutto passi.



E se non era già abbastanza complesso il tema dell’educazione, specialmente in quest’era globalizzata in cui la mentalità dominante strumentalizza i suoi protagonisti (studenti, docenti, genitori), con la pandemia noi docenti affrontiamo un’altra difficoltà imprevista: le lezioni online, dall’infanzia all’università! Tutto con la scusa di “salvare” l’anno scolastico e tenere “occupati” (o intrattenere) i docenti e gli studenti (pensiamo anche ai nostri studenti che non avevano nessuna familiarità con questa nuova forma di ricevere le lezioni o fare i compiti). Allora, ci sono sorte queste domande: come non perdere la coscienza, la responsabilità e il desiderio di continuare ad accompagnare i nostri bambini e i nostri giovani, in questa grave situazione, verso alcune delle scelte più importanti della loro vita? (e, in questo senso, anche i genitori sono per natura educatori) Come far sì che questo periodo non sia tempo perso, per loro e per noi


Nonostante la reclusione fisica in cui siamo obbligati a stare, il nostro essere educatori non va in quarantena; ciò che abbiamo imparato e vissuto lungo la nostra esperienza, vogliamo continuare a trasmetterlo ai nostri studenti, desideriamo continuare a viverlo con loro, ricordando loro che quello che ci definisce come esseri umani non risiede nel fare molte attività, ma nel vivere insieme un’esperienza educativa per la vita.

 

In questo momento eccezionale, singolare e delicato che stiamo vivendo tutti, cerchiamo di aiutarci ad affrontare questa problematica nel nostro compito di educatori, perché questa responsabilità straordinaria non può stare in quarantena e, pertanto, neppure la nostra umanità né tantomeno quella dei nostri studenti. 

Per questo motivo, oggi più che mai sentiamo l’urgenza di ricevere aiuto, di essere accompagnati, e di poter anche noi accompagnare i nostri studenti, riconoscendo che non siamo autosufficienti. Preparare materiali e guide di studio per i nostri alunni, organizzare e tenere lezioni virtuali, registrare video e spiegazioni, imparare ad utilizzare queste piattaforme tanto sconosciute fino a poco più di un mese fa, ha portato con sé un lavoro che richiede una buona dose di impegno e stanchezza. Forse la responsabilità dell’educatore non implica già abbastanza sforzo?

Questo sforzo e questo lavoro, che comportano molta fatica, sono necessari dato che la mentalità comune ci distrae e ci fa perdere di vista il fattore umano, ma in questa circostanza si corre anche il rischio di rendere snaturato il lavoro educativo; per questo, diventa urgente prendere coscienza della necessità dell’educazione come accompagnamento reciproco, che si possa trasformare in una passione che attraversi e impregni il nostro lavoro concreto con i giovani. È importante ricordare che lo sforzo non sta solo nell’apprendere nuovi strumenti tecnologici per poter arrivare agli altri, ma che il nostro compito indica una visione che va più in là, verso un senso umano vero, è il desiderio di costruire e creare spazi di incontro, senza perdere di vista la nostra umanità e quella dei nostri alunni. 


Dentro alle difficoltà, troviamo anche il fatto che abbiamo una percentuale significativa di bambini e adolescenti che non hanno accesso alle lezioni online (che non hanno neanche da mangiare!). In quanto educatori che non solo istruiscono ma che accompagnano, nasce la preoccupazione di come poter continuare a far uscire la loro umanità piena di curiosità, quelle virtù, quelle capacità e che non restino addormentati davanti alla tv o ad un video… Di nuovo ci chiediamo: cosa facciamo? Come si fa per poter continuare ad accompagnarli nel loro cammino di vita? Davanti a queste domande, esistono risposte quasi immediate: nella condivisione con altri educatori, che si contraddistinguono per la loro creatività e collaborazione, si formano idee e modi accessibili. 

Un educatore non si limita a quello che ha a portata di mano e che raggiunge facilmente ma va più in là; e, in unità e comunione, questi educatori avanzano proposte, ipotesi di lavoro, video corti, audio, tra le tante altre iniziative. Sappiamo che la maggior parte delle famiglie può contare con almeno uno smartphone in casa, allora si presenta l’opzione di continuare in questo accompagnamento, con un messaggio, una chiamata, mandando video e immagini. 

Non è la risposta a tutto, però è il modo che abbiamo per accompagnarci oggi; e per noi diventa ricerca e proposta di un “muoversi” verso l’altro, di incontrarlo, di vivere un’esperienza autentica che ci permetta di avere presente l’unità –e quindi la comunità- come risposta alle situazioni che affrontiamo.  


In questo modo, è nato tra noi, per aiutarci in questa difficile circostanza, il desiderio e la necessità di continuare a vederci, incontrandoci, dialogando tra noi e con altri docenti amici, condividendo esperienze e difficoltà, perché ora più che mai sentiamo che è necessaria e urgente questa comunità educante, per non mettere distanze, per essere vicini gli uni agli altri.


Desideriamo essere aiutati come docenti e, allo stesso tempo, aiutare i nostri studenti a non mettere in quarantena il cuore.


Thursday 7 May 2020

Educar: acompañar (ahora más que nunca) Educar es no poner en cuarentena el corazón


The Great Teachers es una asociación internacional presente en El Salvador, Honduras, Guatemala, México, Japón, Italia y Francia. Está conformada por educadores que laboramos en el ámbito de la educación formal y no formal. A partir de nuestro interés y preocupación por el tema de la educación, buscamos dar un juicio y ayudarnos mutuamente en nuestra profesión.

Lo que nos motivó a comenzar este trabajo juntos fue el darnos cuenta que, frente a un joven o a un niño, no basta transmitir los conocimientos que exigen las materias y los programas de estudio o poseer las técnicas perfectas; educar es transmitir una humanidad diferente, despertar en el joven las interrogantes que ya lleva dentro de sí, que cada uno tiene adentro, en su deseo de felicidad y en la búsqueda de un sentido a su vida.
Para ayudarnos en esta tarea decidimos trabajar juntos como una comunidad educativa -como la llamamos entre nosotros-; pero en primer lugar, ha nacido una amistad entre quienes nos dedicamos a educar.


Estamos viviendo un momento difícil en todo el mundo y nosotros no estamos exentos de los acontecimientos y de las luchas humanas que todos los hombres están enfrentado. Son muchas las preguntas que nos asaltan y la circunstancia nos cuestiona; lo vemos entre nosotros los adultos; pero sobre todo en nuestros estudiantes que en esta cuarentena se sienten bastante “perdidos” y a veces hasta inútiles porque no pueden hacer mucho o nada; tampoco logran organizarse en su jornada: pareciera que deben mantenerse “ocupados” y “entretenidos”, llenándolos de materiales, tareas, exámenes, clases; y tal vez así se llenan de cosas por hacer pero se calla la pregunta de fondo que tienen y no son ayudados a descubrir la voz de su corazón.
Finalmente optan por quedarse cómodos en casa, esperando a que todo pase.
Como si el tema de la educación no fuera ya complejo, sobre todo en esta era globalizada en donde la mentalidad común instrumentaliza a sus protagonistas: estudiantes, docentes y padres de familia; con la pandemia, los docentes enfrentamos otra dificultad inesperada ¡las clases en línea, desde el kínder hasta la universidad! con el conque de “salvar” el año lectivo y tener “ocupados” (o entretenidos) a los docentes y estudiantes (pensemos también en nuestros estudiantes, que no estaban familiarizados con esta nueva forma de recibir clases o hacer tareas). Entonces nos han surgido estas interrogantes ¿cómo no perder la conciencia, la responsabilidad y el deseo de seguir acompañando a nuestros niños y jóvenes, en esta grave situación, hacia algunas de las elecciones más importantes de su vida? (en este sentido, también los padres, por naturaleza, son educadores) ¿cómo hacer para que este periodo no sea tiempo perdido, para ellos y para nosotros?
A pesar del encierro físico al que todos nos vemos obligados, nuestro ser educadores no se va de cuarentena; lo que hemos aprendido y vivido a lo largo de nuestra experiencia, queremos seguirlo transmitiendo a nuestros estudiantes, deseamos seguir viviéndolo con ellos, recordándoles que lo que nos define como humanos no radica en el hacer muchas actividades sino en vivir juntos una experiencia educativa para la vida.

En este momento excepcional, singular y delicado que estamos viviendo todos, tratamos de ayudarnos a enfrentar esta problemática en nuestra tarea de educadores, porque esta responsabilidad asombrosa no puede ponerse en cuarentena, por lo tanto, tampoco nuestra humanidad y menos la de nuestros estudiantes.
Por esta razón, hoy más que nunca sentimos la urgencia de recibir ayuda, de ser acompañados, así como también nosotros poder acompañar a nuestros estudiantes, reconociendo que no somos autosuficientes. Preparar materiales y guías de estudio para nuestros alumnos, organizar y sostener clases virtuales, grabar videos y lecciones, aprender a utilizar estas plataformas tan desconocidas hasta hace poco más que un mes, ha traído consigo un trabajo que requiere una buena dosis de compromiso y cansancio. ¿Acaso la responsabilidad del educador no conlleva ya bastante esfuerzo?

Este esfuerzo y trabajo, que conllevan una buena dosis de fatiga, son necesarios puesto que la mentalidad común nos distrae y nos hace perder de vista el factor humano, pero en esta circunstancia también se corre el riesgo de desnaturalizar el trabajo educativo; por eso se vuelve urgente tomar conciencia de la necesidad de la educación como un acompañamiento mutuo, que se pueda transformar en una pasión que pueda atravesar e impregnar nuestra labor concreta con los jóvenes. Es importante recordar que el esfuerzo no está solamente en aprender nuevas herramientas tecnológicas para llegar a los demás, sino que nuestra tarea señala una visión que va más allá, hacia un sentido humano verdadero, es el deseo de construir y crear espacios de encuentro, sin perder de vista nuestra humanidad y la de nuestros alumnos.

Dentro de las dificultades también encontramos el hecho de que, en un porcentaje significativo, nos encontramos con niños y adolescentes que no están teniendo acceso a clases por internet (¡que ni siquiera tienen qué comer!). Como educadores que no solamente instruimos, sino que acompañamos, surge la inquietud de cómo seguir sacando de ellos esa humanidad llena de curiosidad, esas virtudes, esas capacidades y que no se queden dormidas frente al televisor o frente a un video… De nuevo nos preguntamos ¿qué hacemos? ¿cómo le hacemos para seguir acompañándolos en su camino de vida? Ante estas preguntas, existen respuestas casi inmediatas: compartiendo con otros educadores, que se caracterizan por su creatividad y colaboración, se van formando ideas y formas accesibles.

Un educador no se limita a lo que tiene cerquita y fácil sino que va más allá; y en unidad y comunión, estos educadores se plantean propuestas, hojas de trabajo, videos cortos, audios, entre otra variedad de iniciativas. Se sabe que la mayoría de familias pueden contar con al menos un teléfono inteligente en casa, así que, se presenta la opción de seguir haciendo este acompañamiento, a través de un mensaje, de una llamada, de compartir videos e imágenes.
No es la respuesta a todo, pero, es la forma que tenemos para acompañarnos hoy; y para nosotros, se vuelve búsqueda y propuesta de un “moverse” hacia el otro, de ir a su encuentro, de vivir una experiencia auténtica que nos permita tener presente la unidad --y por ende la comunidad-- como respuesta a las situaciones que enfrentamos.
De este modo, ha surgido entre nosotros, para ayudarnos en esta difícil circunstancia, el deseo y la necesidad de seguirnos viéndonos, encontrándonos, dialogando entre nosotros y con otros docentes amigos, compartiendo experiencias y dificultades, porque ahora más que nunca sentimos necesaria y urgente esta comunidad educativa, para no poner distancias, para estar cerca los unos de los otros.


Deseamos ser ayudados como docentes, y a la vez ayudar a nuestros estudiantes, a no poner en cuarentena el corazón.

Sunday 3 May 2020

Edgar Morin: fratelli del mondo

Edgar Morin: fratelli del mondo

Corriere della Sera - 5 Apr 2020

di Nuccio Ordine
«L’unificazione tecnico-economica del mondo, creata dalla diffusione del capitalismo aggressivo negli anni Novanta, ha generato un enorme paradosso che l’emergenza del coronavirus ha reso ormai visibile a tutti: questa interdipendenza tra le nazioni, anziché favorire un reale progresso nella conoscenza e nella comprensione tra i popoli, ha scatenato forme di egoismo e di ultranazionalismo. Il virus ha smascherato questa mancanza di un’autentica coscienza planetaria dell’umanità». Edgar Morin parla con la consueta passione riuscendo a rendere calorosa perfino una conversazione, a distanza, attraverso Skype. Anche lui, come milioni di europei, è confinato in casa, a Montpellier, dove assieme alla moglie segue con grande attenzione gli sviluppi della pandemia.
Internazionalmente riconosciuto come uno dei più brillanti filosofi contemporanei, a novantotto anni (l’8 luglio ne compirà novantanove) Morin legge, scrive, ascolta musica e, in tempo di epidemia, consuma aperitivi virtuali con amici e parenti. Proprio la sua vivacità, la sua voglia di vivere, testimoniano con forza il dramma di un flagello che sta spazzando via soprattutto migliaia di anziani e di malati con patologie pregresse. «So bene — dice con una leggera noncuranza — che potrei essere la vittima per eccellenza del coronavirus. Alla mia età, però, la morte è sempre in agguato. Così è meglio pensare alla vita e soprattutto riflettere su ciò che sta accadendo nel mondo intero...».
Prima di iniziare la nostra conversazione, Morin tiene a salutare gli italiani che soffrono: «Vedo ogni giorno le terribili immagini che arrivano dall’Italia settentrionale, e, ancora in queste ore, dalla città di Bergamo. Penso con affetto agli amici e ai colleghi con cui ho condiviso momenti indimenticabili nei miei frequenti viaggi nel vostro splendido Paese. Esprimo tutta la mia solidarietà agli ammalati che lottano per la sopravvivenza e ai loro parenti che non possono assisterli in questo drammatico corpo a corpo con il virus».