Per mia moglie e per me, il
rapporto coi figli è il proseguire ciò che la natura, nel suo metodo, ci offre.
Un uomo entra nel mondo prima di averlo capito, un figlio è concepito e nasce
prima che egli conosca madre e padre e uomini e luoghi. La legge metodologica
della natura e che bisogna fare per capire, è che la realtà si capisce soltanto
aderendovi. Per capire, bisogna seguire. Bisogna, cioè, entrare in
un’esperienza prima ancora di affannarsi in innumerevoli e inconcludenti
discussioni su di essa. Questo dunque è il nostro e mio rapporto coi figli,
cioè il metodo educativo in uso nella nostra famiglia. Credo sia anche quello
della liturgia cattolica, che chiede solo di aderire nonostante i dossettismi liturgici attuali. Credo, soprattutto, che sia anche quello di Cristo: “Vieni e
seguimi”. “Vieni e vedrai”.
Indubbiamente un bimbo è
predisposto a questo metodo, cioè lo richiede. Egli divora il latte che gli
viene dal seno e la pappina che poi gli si prepara, egli appartiene alla
presenza reale che i genitori sono attorno a lui. E’, per natura, una capacità obbedienziale. E, come tale, esige che
i genitori siano coscienti di ciò che devono dargli, cioè di essere genitori
non solo la notte (una volta si diceva che accadesse solo di notte) di
tenerezza in cui l’hanno concepito, ma sempre. Siccome il bimbo è un essere che
si evolve fino all’uomo, questo sempre va adeguato a quello sviluppo del
figlio: è qui che, per noi, sono sorti i problemi, o, meglio, è qui che abbiamo
sentito la drammaticità della responsabilità di essere padre e madre.
Un primo problema riguarda
l’aspetto, diciamo, di proposta, che è il fondamentale per non rinunciare alla
propria responsabilità: ci siamo accorti, per esempio che, durante la messa,
non potevamo chiedere ai piccoli di tacere se non dimostravamo quanto fosse
vero per noi il partecipare al gesto; e non potevamo dimostrarlo se non era
vero, cioè se veramente noi non credevamo
all’indispensabilità, nella nostra vita, di tale momento. Coi figli, valgono
poco i discorsi o i richiami se non sono suffragati dalla testimonianza
personale: il metodo preventivo credo proprio che sia nel vivere prima io ciò che propongo, altrimenti ne
verrà un formalismo, mantenuto soltanto finché il figlio è obbligato a stare
sotto il tuo tetto e basta. L’esito di questo farisaismo inconsapevole e di
vite di genitori asserviti a due inconciliabili padroni è stata ed è ancora
purtroppo la defezione massiccia dei figlio (anche di alte personalità del
mondo cattolico): ciò che non viene da convinzione è inutile proporlo ai figli,
oltre che essere inutile e dannoso da vivere per sé. L’autorità, come dice
Mounier, è l’incontro con un appello, è una persona direttamente coinvolta con
ciò che propone, è un luogo di riferimento che tenti di incarnare, in tutti gli
aspetti della vita, lo stesso valore o richiamo ideale ai valori che rivolge ed
è tenuto a rivolgere (in quanto tramite della vita: e la vita non è solo
respirare) al figlio. La diserzione dalla responsabilità di educare i figli
(caldamente appoggiata dallo stato italiano, gestito da democristiani che sono
la negazione di questa preoccupazione) è diserzione da sé, è un insulto
irresponsabile contro la società, è un grave delitto contro la carità (sulla
quale saremo giudicati, e non da tribunali della mentalità dominante ma da
quello di Dio, se di tribunale si può parlare per la condanna alla disperazione
totale che già per molti è iniziata).
Un’ altra responsabilità del
gioioso peso di genitori è quella della discrezione. La natura infatti è
discreta: si dice che “non facit saltus” e, perciò, non si può far crescere un albero tirandone i rami, soprattutto se
tale albero è la coscienza: essa si sviluppa secondo tempi ed esiti diversi e,
più i figli dimostrano una propria intelligenza e volontà, più la discrezione
emerge nei termini di proposta rivolta alla libertà altrui. Lo scopo
dell’educazione è proprio quello di far emergere questa libertà, intelligente e
capace di lavoro.
Si arriva ad un punto, con
un figlio, che ci si ritrova, marito e moglie, col proprio iniziale compito di
maturazione personale e con un amico adulto in più, col quale camminare
insieme. Noi abbiamo cinque figli e- figli miei, perdonatemi l’accenno- se mia
moglie avesse abortito, avremmo perso in vita e vitalità noi stessi, perché ognuno
di loro ha avuto una funzione, e l’ha ancora: proprio per me e per noi, oltre
che per il mondo. Un ulteriore senso di responsabilità nasce, per noi, dal
guardare la differente età dei nostri figli (il maggiore ha dodici anni e il
minore ne ha quattro): ma il problema di cui voglio parlare può essere evidente
considerando anche l’evoluzione, nel tempo, di un figlio unico. La
responsabilità, cioè la risposta da dare, è quella di riuscire genialmente ad
adeguare i valori, gli stessi, ad ogni istante dell’evolutività continua, delle diverse età, dei diversi
ambienti, stati d’animo e problemi dei figli. E’ una faccenda che non lascia
mai pienamente tranquilli, perché è fattore fondamentale per l’acquisizione di
una coscienza, di un rendersi ragione, di un’adesione intelligente dei figli.
continua...
Crecer a los hijos como Dios manda
Este artículo fue publicado en Italia
en el periódico Il
Sabato (27 de septiembre - 8 de octubre de 1980).
Para mi esposa y para mí, la
relación con los hijos consiste en proseguir con lo que la naturaleza nos
ofrece como su método. Un hombre entra en el mundo antes de haberlo entendido;
un hijo es concebido y nace antes de conocer a su madre y a su padre, a los hombres
y los lugares. La ley metodológica de la naturaleza indica que para entender es
necesario hallarse, y esto indica que la realidad se entiende solamente
adhiriéndose a ella. Para entender es necesario seguir, o sea es necesario
entrar en una experiencia antes de afanarse en innumerables e inconcluyentes
discusiones sobre ella. Entonces, la relación mía y nuestra con los hijos, es
decir el método educativo adoptado en nuestra familia, sigue esta horma. Creo
que sea la misma de la liturgia católica, que pide solo adherirse, a pesar de
aquellos hombres que hoy en día siguen unos litúrgicos pensamientos inspirados
en Dossetti. Creo, sobre todo, que también sea el mismo método de Cristo: “Ven
y sígueme” y “Ven y verás”.
Indudablemente, un niño está
predispuesto a este método, o sea lo pide. Él devora la leche que viene del
seno y la papilla que luego se le prepara, y él pertenece a la presencia real de
sus padres que lo ciñen. La del niño es, por naturaleza, una capacidad de
obediencia y, como tal, exige que los padres sean conscientes de lo que deben
darle, o sea que sean sus padres no sólo durante la noche (hace tiempo se decía
que esto ocurría sólo en las noches) de ternura en que lo han concebido, sino
siempre. Como el niño es un ser que evoluciona hasta hacerse hombre, siempre
hay que adecuar esto al desarrollo del hijo: es aquí que, para nosotros, han
surgido los problemas, o mejor dicho, es aquí que hemos sentido lo dramático de
la responsabilidad de ser padre y madre.
Un primer problema se refiere al
aspecto, digamos, de propuesta, que es fundamental para no renunciar a nuestra
responsabilidad personal: por ejemplo, nos dimos cuenta que, durante la misa,
no podíamos pedir a los pequeños de callarse si no les demostrábamos cuánto
fuese verdaderamente importante para nosotros participar a ese gesto; y no
podíamos demostrárselos si no era verdadero, es decir, si verdaderamente
nosotros no creíamos que ese momento era indispensable para nuestra vida. Con
los hijos valen poco los discursos o los reproches si no son acompañados por el
testimonio personal: el método preventivo creo consista en que yo ya vivo lo
que les propongo; de lo contrario, se vuelve un formalismo, que resiste sólo
hasta que el hijo esté obligado a quedarse bajo tu techo y luego se acaba. El
éxito de este fariseísmo inconsciente en la vida de padres que son doblegados
frente a dos inconciliables señores ha sido y es todavía, desafortunadamente, la
causa de la deserción de los hijos (también de altas personalidades del mundo
católico): lo que no brota de la convicción personal es inútil proponerlo a los
hijos, además de ser inútil y dañino para la vida di quien así actúa. La
autoridad, como dice Mounier, es el encuentro con una petición, y es una
persona directamente involucrada con lo que propone; es un punto de referencia que
intenta encarnar, en todos los aspectos de la vida, el mismo valor o el llamado
ideal a los valores que dicha autoridad vive y que por ello indica al hijo (en
cuanto es él el trámite de la vida: y la vida no es sólo respirar). Desertar de
la responsabilidad de educar a los hijos (vivamente apoyada por el Estado
italiano, manejado por democristianos que son la negación de esta preocupación)
es una deserción de sí mismo, es un insulto irresponsable contra la sociedad,
es un grave delito en contra de la caridad (y sobre la caridad seremos
juzgados, no por los tribunales de la
mentalidad dominante sino por el tribunal de Dios, si de un tribunal se puede
hablar en relación con esta condena a la desesperación total, que para muchos ya
ha comenzado).
Hay otra responsabilidad en la dulce
carga de ser padres, y su nombre es “discreción”. La naturaleza, de hecho, es
discreta: se dice que non facit saltus
y, de hecho, no se puede crecer un árbol jalándole las ramas, sobre todo si ese
árbol es la consciencia, que se desarrolla según tiempos y estilos propios: más
los hijos demuestran una inteligencia y voluntad propia, más la discreción
emerge en términos de propuesta dirigida hacia un ser que es libre. El fin de
la educación es hacer posible que emerja esta libertad, y que sea inteligente y
capaz de trabajo.
continua...
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