un film di Maurice Cloche, Francia 1947 con Pierre Fresnay e con la sceneggiatura di J.Anouilh (Becket)
Il film sulla vita di san Vincenzo de’ Paoli è il racconto biografico di questo uomo che ha sempre agito secondo coscienza e con desiderio di portare a compimento quello che Dio gli mette davanti.
Fin dall’arrivo nel piccolo paese di Chatillon-Les-Lombes, dove prende il posto di curato, quando, mentre cammina per le strade, gli piovono pietre dalle case della gente atterrita dalla peste, il film mette al centro continuamente il contrasto tra la necessità di povertà fisica e morale di Vincenzo e l’austera e moralista autorità con la quale Vincenzo si confronta nella Francia del XVII secolo.
Nato nella povertà, venduto come schiavo in Africa dopo essere stato rapito in mare da pirati turchi, ferito e divenuto poi medico e tuttofare sulla nave, fino a diventare consigliere fidato di regine, principi e nobili, che lo ricercano ovunque, lui si dedica ai più emarginati della terra.
Davanti al cardinale Richelieu infatti, che lo sta nominando Elemosiniere delle galere, afferma: “ho paura. Non posso accettare. Ho paura di ciò che voi chiamate “il mio successo”; sento l’essenziale sfuggirmi; ho avvicinato uomini grandi, convincerli a dare un po’ di denaro per i poveri; ma non ho più chiamato a nome un povero, non ne ho più visto il volto… Ho paura di essere su di una falsa strada”.
Ancora più straordinaria la sua capacità di usare la sua influenza per dare più peso alla coscienza sociale in Francia, cambiamento che ha portato i suoi effetti in tutta Europa e nel mondo; cinque secoli prima Francesco d’Assisi, nato da genitori possidenti, ha portato avanti una rivoluzione volta a unire uomini e donne e insegnare loro a vivere come mendicanti; Vincenzo brillò per un’altra rivoluzione; mettere insieme uomini e donne e insegnare loro a dare da mangiare e dare rifugio ai mendicanti. In un tempo in cui anche la società cristiana aveva dimenticato la carità, anche quella di base, l’innovazione di Vincenzo fu quella di organizzare la carità, per fondare istituti e ordini per il povero e il malato (opera che continua ancora oggi, non solo in ordini come quello delle Sorelle della Carità, ma in organizzazioni ed enti laici).
Monsieur Vincent celebra il dedicarsi, a senso unico, di un uomo verso la povertà, senza sentimentalismo verso l’oggetto della sua devozione e verso chi riceve la carità. Vincenzo stesso, mentre consiglia ai suoi compagni di guardare ai poveri come ai loro padroni, ammette francamente che essi sono “padroni terribilmente insensibili e pretenziosi…sporchi e brutti… ingiusti e sboccati”; ammette questo e poi aggiunge; “certo e più duramente noi dobbiamo servirli, più fortemente dobbiamo anche amarli”.
E Vincenzo, tramite gli occhi del regista, non risparmia la cecità e la follia dei ricchi: ogni volta che Vincenzo realizza sforzi per procurarsi risorse dei ricchi per aiutare i poveri, è frustrato da apatia, frivolezza, fastidio e orgoglio. Grazie alla simpatia che riscuote in numerose donne dell’alta società, forma le “Dames de la Carité”, le “Dame della Carità”, un gruppo di nobildonne parigine dedicate al sostegno del povero. Ma le Dame risultano essere più prese dalla natura esclusiva della loro posizione in società, che da quello che possono effettivamente fare. E con il tempo cominciarono a mandare i loro camerieri e la servitù a compiere il loro lavoro.
Finché non si presenta a Vincenzo una pastorella della campagna intorno a Parigi, ad offrire il suo aiuto: Margherita Nazeau fu la prima a fare comprendere a Vincenzo quello che non aveva ancora compreso: “è con i poveri che salverò il popolo”. Margherita fu la prima delle Serve dei Poveri, e presto non fu più sola. Cominciò una piccola comunità di queste “rivoluzionarie” religiose; non era concepibile che per queste religiose “il chiostro fosse la strada”
Vincenzo riesce ad ottenere dal Vescovo i terreni di Saint-Lazare dove mette in piedi un ospedale per malati e senzatetto; in seguito a una rissa scoppiata tra i mendicanti che ci contendono un misero giaciglio la comunità di Vincenzo de’Paoli viene espulsa dall’ospedale.
Qualche tempo dopo, quando viene promulgata una nuova legge del governo parigino che prevede l’arresto per poveri e mendicanti, a Vincenzo viene offerto di dirigere l’ospedale della carità degli istituti detentivi. Quello che sembrava un merito diviene un atto di accusa per avere attirato lui stesso a Parigi tutti i profughi e i vagabondi, proprio perché offre a loro rifugio. Comincia a raccogliere i bambini delle donne sole che vengono abbandonati davanti alle chiese, attirandosi i rimproveri delle Dame della Carità, che moralisticamente, ne criticano la necessità di salvare “i figli del peccato”, poiché “ripugna il nostro sentimento”. E anche le sue stesse religiose si rifiutano di seguire questa nuova opera, poiché “il peccato è troppo brutto”. L’ennesima sconfitta per Vincenzo che riconosce: “sono stato pazzo a credere di commuovere le vostre anime. Sono stato pazzo a credere di togliervi dalla vostra arida solitudine”. Sembra un paradosso, qualche anno dopo, vedere come un uomo solo abbia potuto realizzare contro tutta la sua intera società, opere che oggi ci risultano così normali e diffuse.
Poco prima della morte, confessando la regina di Francia ammette: “Io ho fatto così poco.” Ma allora che cosa bisogna fare nella vita per avere fatto qualcosa? Ancora di più. In fondo siamo sempre stati così negligenti”.
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