Friday, 7 December 2012

Andare a scuola in Corea - part V

Dopo la liberazione. Educarsi a vivere subito da comunisti 

Subito dopo la liberazione, nel 1945 quest’affermazione di Kim Il Sung diventa il programma politico. Il leader ricorda le parole pronunciate che qualche anno prima: “Persino quando si troverà sulle montagne, su un’isola sperduta o in mezzo al mare il comunista continuerà a vivere e a combattere per la rivoluzione”. 

La rivoluzione non si ottiene con la guerra, anche quando è vittoriosa. L’esperienza precedente della lotta, delle zone liberate ritorna nei primi anni della liberazione come memoria di un’esperienza di unità di popolo da far rivivere. 

Non basta aver ottenuto il potere perché sia garantita la costruzione di una società socialista, così come non basta avere alle spalle vent’anni di guerriglia perché la società che ne è seguita sia socialista. Si tratta di continuare la rivoluzione, di trasformare la lotta armata in rivoluzione culturale, si tratta di attaccare la concezione capitalista, individualista dell’esistenza e del lavoro. 

In questo senso, in un paese che lavora per una transizione al socialismo, come la RPDK oggi, il problema educativo, il problema di avere una scuola non è più settorializzabile, non è più scindibile da un contesto di vita materiale e culturale presente, non è un “problema” fra i tanti che la ricostruzione del paese presenta; esso diventa il problema di base perché la rivoluzione possa continuare e al tempo stesso questo problema diventa la cartina tornasole della validità di un’esperienza di transizione. 

Come e a che cosa la rivoluzione educa i suoi figli? 

Kim Il Sung definì nemici del popolo coloro che affermavano che la coscienza dei lavoratori sarebbe cambiata e il livello di vita culturale e materiale migliorato, quando si fosse instaurata la società socialista. 

Il lavoro educativo che incomincia ha questi come punti fondamentali: studio approfondito della tradizione rivoluzionaria del popolo coreano (in ogni scuola, ad ogni livello della struttura educativa ci sono lezioni, ricerche, strumenti per affrontare questo aspetto della cultura coreana); affronto dei testi del marxismo-leninismo, delle opere del leader Kim Il Sung, nell’intento, sempre più importante di stabilire il juchè in ogni settore della vita del paese. 

Il nesso e il rapporto tra tradizione e rivoluzione è rilevabile nell’esperienza di questo paese all’interno del problema educativo. Infatti, come già le zone liberate erano strutture tipicamente educative, in quanto luogo di esperienza politica rivoluzionaria per tutti, ora nella costruzione del socialismo, fare scuola appartiene ad ogni livello sociale, ad ogni struttura, ad ogni momento della vita di questo popolo. 

Ogni livello della società coreana ha un compito educativo da svolgere 

Il partito, ad esempio. Educarsi nel partito significa superare la concezione della burocratica del partito, cioè di un corpo estraneo che pesa sulla vita del popolo. “Dobbiamo individuare correttamente le radici della burocrazia e sforzarci di cancellarla completamente così da migliorare il lavoro del partito e degli organi governativi (…) La burocrazia emerge dalla influenza di elementi capitalisti tuttora esistenti nel sistema economico del nostro paese e della sopravvivenza di vecchie idee ereditate dalla dominazione imperialista giapponese, la cui radice ideologica si fondava sull’egoismo, sulla carriera e sullo spirito servile tipico del mercenario”. 

Per questa ragione al partito che, all’interno della società coreana, ha il compito dell’educazione politica, si accede tramite le organizzazioni di massa (delle donne, della gioventù, ecc …) che hanno il compito di preparare e di educare le persone alla responsabilità di fronte al popolo e al futuro della rivoluzione coreana, di appartenere al partito. 

C’è un problema decisamente importante che emerge quando si analizza il partito del lavoro nord-coreano: il partito è un momento dialettico all’interno della vita politica della RPDK o è, più semplicemente,il braccio esecutivo, a livello di processi educativi, della volontà del leader? Quale sia l’orientamento coreano a proposito di questo problema, non è cosa facile da stabilire. Certo, molto dipenderà dalla capacità che il popolo avrà di “gestire” la sua rivoluzione, di riconoscere nel leader e nel partito due fattori importanti, anche se non esclusivi, della propria educazione, dalla capacità di fare “memoria” oggi, di una tradizione rivoluzionaria che rimane comunque il fondamento su cui edificare la società socialista. 

Un altro livello della società coreana in cui è fortemente presente una preoccupazione educativa è il sistema produttivo, nel momento in cui esso oggi si trova, di realizzare sempre più completa dell’industrializzazione socialista. 

“La transizione al comunismo richiede non solo sviluppo economico, ma richiede anche di riplasmare le vecchie ideologie nella mente degli uomini. Prima di ogni altra cosa è importante fare in modo che la gente lavori di propria volontà e in maniera cosciente, cioè in modo comunista. Il nostro sistema di lavoro fa sì che il popolo lavori e viva in maniera comunista”. 

La struttura produttiva industriale nordcoreana va sempre più plasmandosi sul sistema Daean instaurato dal leader Kim Il Sung in una fabbrica di macchine elettriche tra la fine degli anni ’50 e agli inizi degli anni ’60, nella omonima località. Il principio Daean è molto semplice: la componente politico-educativa deve essere realmente incidente su tutti i livelli in cui si operano, nella fabbrica, le scelte economico-amministrative, e sui livelli specificatamente produttivi ( sezioni, officine, atelier, cellule). 

La fabbrica, diretta dal Comitato del partito, eletto da tutti gli iscritti al partito che in essa lavorano, in tutti i suoi nuclei produttivi raccoglie membri del partito che hanno il compito di educare i lavoratori a gestire la fabbrica, a discutere cioè i piani di lavoro, le modalità e i tempi di attuazione, l’uso delle macchine ( dialetticamente con le indicazioni date dai Comitati per la pianificazione a livello circondariale, regionale, nazionale), e i problemi inerenti alla salute in fabbrica e nella sicurezza del lavoro. 

Ma educare i lavoratori alla gestione delle fabbriche, non significa per i coreani un semplice controllo dei cicli produttivi, o far rispettare alcuni principi di base della produzione socialista. Gestire è molto di più. E’ innanzitutto entrare in possesso di quegli strumenti che permettono ai lavoratori di entrare nel merito dei problemi della produzione, problemi tecnici, di progettazione e di esecuzione; si tratta perciò di avviare scuole dentro la fabbrica non solo per tecnici, ma per tutti gli operai sui problemi specifici di quella fabbrica e di quel settore. Non solo. Educare alla gestione della fabbrica è dare spazio alla crescita della creatività dei lavoratori. “La grande potenza del nuovo sistema di lavoro ( Daean,n.d.r. ) è la grande potenza dell’unità e della cooperazione, quella dell’entusiasmo cosciente e dell’iniziativa creatrice delle masse”. “Dobbiamo creare cose nuove e, su questa base, trovare ancora cose nuove, in modo da continuare incessantemente il processo delle invenzioni”. 

Non basta, infatti, sapere perché si lavora, per quale ragione e perché si lavora in un modo invece che un altro. Queste stesse domande, devono essere riformulate da lavoratori e saranno ancora i lavoratori a tentare delle risposte. E’ qui che incomincia una gestione autentica della fabbrica da parte di chi vi lavora. 

Scuola e lavoro 

Dentro questa immagine di struttura produttiva, quale rapporto intercorre tra scuola e mondo del lavoro? 

A tutti i livelli della struttura scolastica, i momenti di scuola vera e propria sono accompagnati da periodi, più o meno lunghi, di lavoro pratico e manuale che non ha, però, il solo scopo di aiutare gli allieivi ad apprendere più precisamente la materia e a verificarne operativamente i contenuti. La motivazione va ricercata nel significato che ha, per un coreano il lavoro. 

Lavorare in Corea è contribuire con le proprie forze, con la propria genialità alla costruzione della società socialista, è contribuire al benessere e alla felicità del popolo, come spesso afferma Kim Il Sung. Questo contributo, in misura diversa, è chiesto a tutti, anche ai più giovani perché il lavoro pratico e manuale non venga considerato un “da meno”, perché anche i più giovani siano così educati a concepire lo studio e le attività della giovinezza come il loro contributo all’edificazione del paese, al benessere del popolo. Si supera in questo modo la divisione tra lavoro intellettuale e lavoro materiale. Non che questa divisione cada di fatto: cade la coscienza per cui questa divisione, presente ad esempio in misura macroscopica nelle società occidentali, provochi una divisione reale tra il popolo. Un ulteriore aspetto di verifica dell’ampiezza che ha l’accezione del problema educativo in Corea, è il rapporto che esiste tra la Repubblica di Pyongyang e i paesi sottosviluppati. 

Gli aiuti a questi paesi non sono soltanto rifornimenti di materiale o invio di tecnici; si tratta soprattutto di aiuti di carattere politico,per la formazione di quadri che aiutino questi paesi ad un’espressione di sé, della loro cultura, della loro tradizione. 

È questo in fondo che fa paura alle potenze che vorrebbero bel sud-est asiatico, come in altre aree del mondo (l’America Latina, ad esempio), imporre strutture di vita e di produzione all’interno della logica imperialista. 

È quest’espressione del popolo che spaventò gli Stati Uniti nel 1950, che li portò ad attaccare la Corea e per cui oggi la costringono ad una divisione. 

È invece quest’esperienza di lotta di popolo, di unità, di rivoluzione culturale che fa della Corea un paese in transizione verso il socialismo, verso la costruzione di una società più giusta. 

È per questo che “Andare a scuola in Corea” non poteva essere un libro sull’ ”istituzione” scolastica coreana, sulle sue gerarchie e i suoi meccanismi. 

La scuola in Corea come si è visto, precede qualsiasi istituzione, è innanzitutto trasmissione di una cultura di popolo, di una tradizione rivoluzionaria su cui va sempre più fondandosi l’oggi del paese. 



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