“I
professori ci spiegano tutte le possibili teorie e pensieri, senza mai dare un
giudizio, dicono che tutte le teorie sono vere. Noi, alla fine, non sappiamo
più cosa pensare, e infine ce ne disinteressiamo, tanto una cosa vale l’altra.”
È stato questo intervento di uno dei miei studenti all’università che mi ha
fatto ripensare alla cosiddetta “Carta della Laicità” che, pochi giorni prima
dell’inizio dei corsi universitari, il ministro dell’educazione nazionale,
Vincent Peillon, ha affisso in tutte le scuole elementari, medie e superiori.
Si tratta di una serie di 15 articoli elaborati per il personale, gli allievi e
“tutto l’insieme della comunità educante”. Il disorientamento di questo studente, francese, nato in
seno alla Repubblica, mi ha spinto a leggere e studiare questa carta.
Eccone il
testo completo:
“La
Francia è une Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa
assicura l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, nell’insieme
del suo territorio. Essa rispetta tutti i credi.
La
Repubblica laica organizza la separazione tra religioni e Stato. Lo Stato è
neutro per quanto riguarda le convinzioni religiose o spirituali. Non esiste
une religione di Stato.
La
laicità garantisce a tutti la libertà di coscienza. Ognuno è libero di credere
o non credere. La laicità permette di esprimere liberamente le proprie
convinzioni, nel rispetto delle convinzioni altrui e nei limiti dell’ordine
pubblico.
La
laicità permette l’esercizio della cittadinanza, conciliando la libertà di
ciascuno con l’uguaglianza e la fratellanza di tutti, nella preoccupazione
dell’interesse generale.
La
Repubblica assicura il rispetto di ognuno di questi principi negli edifici
scolastici. La scuola è laica.
La
laicità della scuola offre agli studenti le condizioni per forgiare la loro
personalità, esercitare il loro libero arbitrio e apprendere a esercitare la
loro cittadinanza. Essa li protegge da ogni forma di proselitismo e ogni sorta
di pressione che impedirebbero di fare una scelta personale.
La
laictià assicura a tutti gli allievi l’accesso a una cultura comune e
condivisa.
La
laicità permette agli studenti l’esercizio della libertà di espressione nel
limite del buon funzionamento della scuola e del rispetto dei valori
repubblicani e del pluralismo di convinzioni.
La
laicità implica il rifiuto di ogni violenza e discriminazione, garantisce
l’uguaglianza tra ragazzi e ragazze e riposa sulla cultura del rispetto e della
comprensione dell’altro.
È
compito di tutto il personale di trasmettere agli studenti il senso e il valore
della laicità, cosi come altri principi fondamentali della Repubblica. Essi
vigilano affinché essi siano applicati in ambito scolastico. È loro compito far
conoscere la presente carta ai genitori degli scolari.
Il
personale ha il dovere di mantenere une rigida neutralità: non deve manifestare
le proprie convinzioni politiche o religiose nell’esercizio delle proprie
funzioni.
Gli
insegnanti sono laici. Al fine di garantire agli scolari un’apertura, il più
possibile oggettiva, alla diversità di visioni del mondo e all’ampiezza e alla
precisione dei saperi, nessun argomento è escluso a priori dallo studio
scientifico e pedagogico. Nessuno scolaro può invocare una convinzione
religiosa o politica per contestare ad un insegnante il diritto di trattare una
tematica del programma.
Nessuno
può avvalersi della propria appartenenza religiosa per rifiutare di conformarsi
alle regole applicabili nella scuola della Repubblica.
Negli
edifici scolastici pubblici, le regole di vita dei diversi spazi, precisate nel
regolamento interno, sono rispettose della laicità. Portare segni o tenute che
manifestino ostentatamente un’appartenenza religiosa è vietato.
Attraverso
la loro riflessione e le loro attività, gli allievi contribuiscono a far vivere
la laicità in seno alla scuola.”
Spero
di aver trovato le parole giuste per la traduzione, le parole sono
fondamentali. Il ministro Peillon ha, infatti, precisato che il testo è redatto
in modo che tutti possano capirlo.
Gli
articoli dall’1 al 4 non riguardano la scuola, bensì le basi dello stato. Dopo
un primo articolo che rispecchia la realtà di questo paese, asilo per tante
persone (realtà che si può sperimentare uscendo semplicemente in strada), il
secondo articolo pone già come valore fondamentale la neutralità. Si nega poi
l’esistenza di una religione di stato.
Nota.
Lo Stato non può essere confessionale. In quanto cristiana sono pienamente
d’accordo. Lo Stato non può essere, per esempio, né cristiano né anticristiano.
Lo stato non deve essere nemmeno ideologico. L’affermazione “non esiste una
religione di Stato”, dovrebbe poter essere sostituita anche con l’affermazione
“non esiste un’ideologia di stato”. Questo mi fa osservare che alla parola
“repubblica”, sempre nel secondo articolo, è stata avvicinata la parola “laica”:
“ la Repubblica laica”. Quando si decide di mettere un aggettivo dopo la parola
“repubblica” o dopo “stato” non si vuole forse indicare un’ideologia fondatrice
o una religione fondante? Non si dice forse “republica islamica” per Iran,
Pakistan, Afghanistan e Mauritania ? Non si diceva forse lo Stato
Fascista? (“islamica” e “fascista”
sono due aggettivi proprio come “laica”).
Ma se
il termine “laico”, applicato a uno stato o a una forma di governo, significa
che lo stato o la forma di governo in questione non solo non devono imporre, ma
neppure devono avere un’ideologia propria, l’articolo è approvabile in pieno.
Dall’articolo
5 in poi si applica il concetto di “laicità” alla scuola, e lo si fa anche
graficamente, mettendo in grassetto la frase “la scuola è laica”.
Dall’articolo 6 all’articolo 15 questo
concetto viene declinato nei vari aspetti della vita di quella che il Ministro
chiama la “comunità educante”.
Si
parla, dapprima, di condizioni per “forgiare la propria personalità”, verbo che
certo a voi italiani ricorderà una antica dialettica di piazza di cui ricevete
ancora oggi l’eco. L’articolo 6 poi avverte di un pericolo dal quale occorre
“proteggere” i ragazzi. Il pericolo del proselitismo e quello di “pressioni”
che verrebbero a interferire con una scelta personale del ragazzo. Il Ministro
avverte dunque un pericolo grave nella società, quello dell’accaparrarsi la
coscienza dei giovani, quello del lavaggio del cervello, pericolo che esiste,
visto il vuoto di valori e di senso che molti dei nostri ragazzi si trovano
costretti a vivere. Come mai? Non ce lo si chiede mai. Come mai ragazzi
intelligenti e sani seguono ideali estremisti che propongono loro un ideale per
cui vivere? Forse perché essi sono una risposta violenta, imparziale e ingiusta
a un loro giusto desiderio.
La
Repubblica laica però assicura all’articolo 7 una cultura “comune e condivisa”
e garantisce, nell’articolo successivo, la libertà di espressione. Quale
cultura “comune e condivisa”? Chi ne stabilisce i contenuti, i modi di espressione,
i giudizi? Cultura non vuole forse dire “modo di rapportarsi alla realtà che ci
circonda”? La Repubblica ci garantisce dunque un “modo di rapportarsi alla
realtà” suggerito e imposto (dato che dobbiamo “condividerlo”) dalla Repubblica
stessa?
Inoltre:
l’articolo 9, che ha fatto colare molto inchiostro sui giornali, parla di
rifiuto di ogni tipo di violenza e di ogni discriminazione tra uomo e donna.
Perché parlare di differenze tra uomo e donna nella società francese dove le
donne sono da molto tempo uguali nei diritti e nei doveri agli uomini? A chi
parla il Ministro? Forse a una fascia della società francese in particolare? A
una fascia in cui le donne sono velate? Risposta non si trova nel testo. Ma mi
chiedo: “rifiuto di ogni tipo di violenza” riguarda anche la violenza del
professore che impone a una ragazzina di 15 anni che liberamente sceglie di
appartenere a un popolo, di togliersi il segno di riconoscimento di quel
popolo? (“Non ci si deve preoccupare troppo”, mi sono sentita dire, “una volta
fuori da scuola la ragazzina potrà rimettersi il velo”, in una sorta di
schizofrenia da luogo pubblico).
Negli
articoli successivi sono elencati i doveri della “comunità educante”, dal
bidello al preside (certo, l’uguaglianza). Una comunità si riunisce intorno a
qualcosa. Intorno a chi e a cosa si riunisce questa comunità educante? Il
Ministro non lo dice.
Ma ci
dice quello che dobbiamo fare per appartenere a questa, direi, “comunità
scomunicata”, cioè senza centro: vegliare all’applicazione degli articoli
enumerati, istruire i genitori ignari, essere rigidamente neutri, cioè non
manifestare convinzioni né politiche né religiose.
Ora la
radice della parola “politica” significa “che riguarda la polis” e indica
perciò il desiderio di collaborare alla dimensione storica di una polis. La
radice della parola “religiosa” inoltre significa “che rilega al significato
ultimo” e indica perciò un senso
per la vita, una concezione del valore. Sono due aggettivi identitari
dell’uomo. Senza la dimensione politica e la dimensione religiosa (la
dimensione non del culto in sé, ma del senso religioso, del ricercare una
realizzazione e un bene che non finiscano) non si è uomini, ma bestie.
Noi
insegnanti, insomma, dobbiamo astenerci dall’esprimere una nostra dimensione umana.
Ebbene, insegnando, so che, anche volendolo, questo “neutralismo” è impossibile
da mettere in pratica. Attraverso la materia che insegno, i libri che leggo, i
soggetti che tratto, il mio dialogo con i ragazzi, si esprime il mio
significato dell’esistere. Non avviene lo stesso anche per i colleghi
rigidamente obbedienti alla Repubblica laica? Non esprimono anche loro una
visione del mondo, un significato dell’esistere? È certo, in ogni caso, che la
ragazzina a cui chiedono di togliere il velo in classe, penserà che questo
gesto esprime tutt’altro che una neutralità.
Non può
esistere un’istruzione senza educazione. Non finché i professori saranno uomini
e non macchine. Di tutti questi dogmi non mi interessava gran che, finché
quello studente non ha espresso la sua perplessità riguardo al relativismo del
professore che afferma che tutte le strade sono giuste. L’incontro con questo
ragazzo è un problema, cioè è qualcosa che è messo sul mio cammino, qualcosa
che mi cambia. Nel suo intervento quello studente mi ha fatto capire che è
innaturale e criminale non rispondere a quell’esigenza che egli sente non solo
di istruzione, ma soprattutto di educazione. L’istruzione non può eliminare il
rapporto, l’incontro umano, la trasmissione di un significato che il professore
già vive, non può eliminare l’educazione. Nell’incontro con l’insegnante il
ragazzo viene allora chiamato a valutare e verificare con la propria libertà
quanto gli viene proposto. L’insegnante è un autorità per il ragazzo, non
possiamo evadere nel neutralismo. Autorità viene da “augeo”, “rendere più
grande”. L’autorità è colui stando vicino al quale il giovane si sente
diventare più grande, più adulto e più capace di cultura, cioè di una propria
visione critica e sistematica della realtà.
Ma se
noi disertiamo questa responsabilità educativa, in nome di un neutralismo
inapplicabile, avremo sempre più seminari, attività ricreative, stages anche
per i bimbi, che nascondono solo la volontà di creare dei funzionari,
dimenticando di far crescere dei ragazzi.
Gli
articoli 12 e 13 sono interessanti perché, senza alcun dubbio, vengono da
un’esperienza diretta degli insegnanti; raccontano di alunni che in nome della
loro appartenenza rifiutano un certo argomento del professore e di alunni che
“rifiutano di conformarsi alle regole” (linguaggio che ancora una volta
ricorderà agli italiani un certo discorso di piazza). Strana tendenza dei
giovani al volere capire le regole invece che ubbidirvi senza batter ciglio!
Dell’articolo
14 ho già accennato, e non è che la prefazione all’articolo 15. Quest’ultimo
non è altro che un insulto all’intelligenza di chi legge e non vale la pensa
soffermarcisi.
Suggerirei
dunque al Ministro di andare fino in fondo, di parlare chiaro e di affiggere
nelle scuola la sua “carta del laicismo”. La Repubblica infatti non è laica, ma
laicista e dunque confessionale, poiché elimina e non prende in considerazione
nel patrimonio di valori comune, ciò che “puzza” di appartenenza religiosa o
politica. È laicista perché lavora a costruire un uomo svuotato di ogni
identità e perfettamente formattato al ruolo che lo Stato ha progettato per
lui. Un paese di cloni, la cui sola appartenenza identitaria sia quella allo
Stato francese.
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