Wednesday 2 November 2016

Un'Altra Scuola


Diario verosimile di un anno scolastico
di G.Accardo

Gentili SIGNORI INVALSI,
ho pensato che i vostri test a risposta chiusa e uguali per tutti gli studenti d’Italia non misurano le differenze, non tengono conto del loro punto di partenza, dei progressi e delle trasformazioni, annullano ricchezze e varietà, non premiano l’impegno, il confronto, la creatività. I vostri test puniscono ogni deviazione dalla norma, ignorano le condizioni emotive. I vostri test, gentili signori dell’Invalsi, sono pensati per i sani e i felici, non prevedono la malattia e l’infelicità. La vostra idea di scuola non prevede gli originali, quelli che guardano lontano, i visionari, i sognatori, ma nemmeno i lenti, quelli che hanno bisogno di più tempo. Voi amate il conformismo, le regole grammaticali, l’obbedienza, forse credete nei vaccini e nella prevenzione, vi piacciono gli studenti noiosi e perciò fate di tutto per annoiarli, ma noi, credeteci, noi preferiamo di NO!
Vi racconto di Eleonora, che in prima era insufficiente nelle prove scritte di italiano, scriveva male, con errori di sintassi ed ortografia. In seconda ancora zoppicava, qualche volta confondeva i tempi verbali, sbagliava qualche congiuntivo e usava poco i pronomi, ma il contenuto cominciava ad arricchirsi. In seconda, gentili signori Invalsi, Eleonora inizia a leggere e tutto comincia con un libro che i miei colleghi mi avevano sconsigliato di far leggere a quell’età: Il giardino dei Finzi Contini di Bassani. Si è appassionata e ne ha letti altri: L’airone e Gli occhiali d’oro. E quando tutta la classe ha letto Storia di Tönle di Rigoni Stern, lei ha continuato con L’anno della vittoria, Le stagioni di Giacomo, Amore di confine. Quell’anno in seconda, gentili signori, ho fatto un esperimento: non abbiamo letto I promessi sposi ma una serie di romanzi storici ambientati nel ’900. In terza ogni verifica di Eleonora era piena di approfondimenti personali: sull’autore, sui testi, sul periodo storico, sulla corrente letteraria. Voleva stupirmi e voleva la mia ammirazione. Certo, la lingua mostrava ancora fragilità, talvolta l’ortografia sanguinava, ma il lessico cominciava ad arricchirsi. Coi tempi verbali mostrava qualche incertezza e non sempre la punteggiatura era adeguata. Ma non dovevo premiarla? Dovevo ignorare la crescita, la maturazione, gli straordinari progressi fatti? In quinta l’ho ammessa all’esame con dieci, anche se lei non voleva, temeva che la commissione d’esame si aspettasse risultati che lei non poteva dare. Ma io le ho detto che dovevamo osare, che la sfida andava giocata. Lo so, per i vostri parametri ho esagerato. Però, vedete, ora la ragazza è laureata in Psicologia (laurea triennale e poi specialistica) e sta facendo il dottorato di ricerca. Non ho letto la sua tesi di laurea e non escludo che il suo relatore non abbia dovuto correggere qualche errore di grammatica. E allora? Che dite, non volete farci una riflessione?
E vi racconto di Daniel, alunno dislessico e disgrafico, che per cinque anni, per quanto s’impegnasse, non è mai riuscito a prendere una sufficienza nelle prove scritte di italiano: errori di ortografia, sintassi sbagliata, confusione logica nell’organizzazione gerarchica delle frasi. Dopo la terza media non aveva più voluto l’insegnante di sostegno, perché voleva farcela con le sue sole forze. Poi però compensava con le interrogazioni orali, soprattutto di storia, sua grande passione: non c’era argomento che non lo appassionasse, perciò, spinto dal suo interesse personale, approfondiva le tematiche tanto da lasciare me e la classe a bocca aperta. All’esame di maturità (in quinta, intanto, avevamo convinto i genitori a richiedere il sostegno, per poterlo aiutare all’esame di Stato) presentò una tesina multidisciplinare sulla guerra e il combattimento attraverso un powerpoint articolatissimo e ricco di immagini. All’università si è iscritto a Beni culturali e si è laureato in tre anni con una tesi in archeologia. Ora sta preparando la laurea specialistica.
E vi racconto anche di mia nipote, diplomatasi in un liceo scientifico di una sperduta cittadina della provincia di Trapani, una di quelle scuole dove le prove Invalsi non sono ritenute credibili per le «eccessive interferenze esterne», un modo per insinuare che i ragazzi nei test vengono aiutati dagli insegnanti. Eppure, mia nipote si è laureata in cinque anni in una università del Nord, subito dopo ha vinto il dottorato di ricerca e forse lo concluderà in una università americana.
Come la mettiamo, gentili signori Invalsi?
E ancora una domanda: quando dite che le prove nelle regioni del Sud non sono attendibili, come intervenite per modificare la situazione? Cosa fate per quelle scuole che sono ospitate nei condomini, ad esempio ad Agrigento, dove in ogni stanza sono stipati trenta o trentacinque studenti? In quelle scuole dove per la pausa gli studenti escono dall’aula e si trovano nel corridoio di un appartamento? 
E ancora. Vogliate scusarmi, ma le domande si affollano, figlie della frustrazione che la didattica Invalsi sta alimentando in molti di noi. E ancora dicevo: le classifiche che fate – Trento migliore di Bolzano, il Nord-est ha superato il Nord-ovest, quel liceo ha fatto meglio di quest’altro – come vengono utilizzate? Investite più risorse per migliorare la didattica nelle scuole e nei territori dove i risultati sono stati inferiori alle aspettative, o piuttosto premiate chi è stato più bravo?
Perdonatemi, ma un’ultima cosa la devo dire: se due anni fa foste entrati nella quinta elementare frequentata da mia figlia e vi foste presentati: siamo i signori Invalsi, i bambini si sarebbero messi a
piangere. E sì, vi temevano peggio dell’orco cattivo, perché per tutto il secondo quadrimestre la maestra di matematica li ha minacciati con i vostri test, obbligandoli ad allenarsi anche a casa, a collegarsi al vostro sito on-line. Così ora, giunti in seconda media, appena i ragazzi sentono il vostro nome non si mettono a piangere, però gli viene immediatamente da vomitare e voglia di scappare dalla scuola.
Ecco, queste cose volevo dirvele.

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