di G. Accardo
Mercoledì 7 novembre
Anche Pasolini era un insegnante, negli anni cinquanta, e
più precisamente dal 1951 al 1954. Partiva in bus da casa sua la mattina resto,
arrivava alla stazione Termini e prendeva il treno per Ciampino, Insegnava in
una scuola media, guadagnava ventimila lire a mese e tornava a casa stanco
morto. Non voleva che gli studenti inventassero, ma quando scrivevano un tema,
voleva la verità, chiedeva che descrivessero la realtà. Al pomeriggio studiava,
scriveva saggi critici e articoli per i giornali, componeva versi e già pensava
al cinema. Chissà cosa direbbe Pasolini, capita spesso di sentire di fronte ad
un avvenimento che ci ascia sbigottiti, di cui ci sfugge il senso vero o il
nucleo centrale, di cui vorremmo sapere cosa si nasconde dietro al volto
apparente. Ci vorrebbe Pasolini, oppure
Sciascia, ci si giustifica quando non sappiamo come reagire o quando l’indignazione ci pare poca cosa. Ci
mancano i maestri. Sciascia maestro lo era di mestiere, visto che insegnava
alla scuola elementare.
E noi cosa siamo per questi adolescenti h ci ascoltano tutte
le mattine? È bello quando li vedi bersi le tue parole, quando mostrano di
fidarsi di te, e insieme al piacere senti crescere la responsabilità. Cosa
ricorderanno di noi? Mi domando. È più importante che si ricordino dei loro
professori o delle regole di grammatica, dell’aoristo passivo, del tempo di
dimezzamento del cesio, della ‘Critica della ragion pura’, di Maria Montessori,
dell’articolo 5 della Costituzione?
(…)
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