Sunday, 30 January 2011

C'era una volta una educatrice e il suo bambino

C’era una volta un’educatrice e un bambino. Erano due persone che non si conoscevano fino a quando le loro necessità si sono incontrate. Questo incontro non é stato né facile né scontato.
L’educatrice, infatti, ha incontrato un bambino speciale, un bambino di quattro anni che aveva vissuto i suoi primi due anni di vita in un buio affettivo, educativo e sociale. Questo buio se lo portava ancora un po’ dentro senza riuscire da solo a liberarsene completamente.
Il bambino incontrò invece un’educatrice molto giovane che, da subito, gli stava vicino, per incoraggiarlo, sgridarlo, voleva che facesse cose di cui non aveva voglia o che gli diceva di non fare cose che aveva sempre fatto.


L’educatrice ogni giorno si chiedeva come affrontare un pezzettino di quel buio, che per due anni aveva tolto al bambino il tempo per imparare a parlare, per imparare ad andare in bagno da solo, per imparare a capire cosa é giusto e cosa é sbagliato, per imparare a rispettare gli altri bambini durante il gioco. L’educatrice, ogni giorno, insegnava queste grandi cose al bambino che, ogni giorno, insegnava all’educatrice che quel buio non gli aveva tolto il desiderio di essere amato, la capacità di capire chi gli voleva bene e il bisogno di affidarsi a quelle persone che desideravano un bene per lui. Ogni giorno il bambino arrivava e cercava la sua educatrice, perché oramai per lui non era solo “una educatrice”, ma era “la sua educatrice”; si avvicinava a lei e la guardava, iniziando così la giornata con la sicurezza del fatto che entrambi erano pronti per lavorare insieme.

Subito l’educatrice e il bambino hanno deciso di lavorare sul gioco, capire quando é il momento del gioco, capire che giocare con gli altri bambini, condividendo con loro i giochi e lo spazio, era più divertente, rendeva entrambi piú gioiosi. Per il bambino non é stato facile condividere i giochi, soprattutto quelli che preferiva, e per lui era anche difficile capire perché a volte, quando usava la forza per ottenere qualcosa, la sua educatrice si arrabbiava e lo metteva a sedere, senza permettergli di continuare a giocare o a correre.
Capire la differenza tra giusto e sbagliato era importante e, così, pian pianino, l’educatrice a volte con fermezza e altre volte con molta dolcezza, cercava di spiegare al bambino che usare la forza per ottenere ciò che voleva era un atteggiamento sbagliato che allontanava i suoi amici perché li spaventava.
C’é voluto un po’ affinché il bambino prendesse coscienza che il dovere rimanere seduto per qualche minuto mentre i suoi amici giocavano era dovuto al suo comportamento sbagliato.
Ma nel momento in cui il bambino ha iniziato ad avere una reazione al “castigo”, ha anche iniziato a volere chiedere scusa al bambino che aveva spaventato. Da quel momento l’educatrice a visto nel bambino il desiderio crescente di volere giocare e condividere il gioco con gli altri bambini senza usare la forza.
C’erano tanti aspetti su cui il bambino e l’educatrice stavano lavorando: saper stare seduto nei momenti in cui era necessario; saper riconoscere quando era il momento per andare in bagno o semplicemente dire che si aveva la necessità di andare in bagno; saper rispettare gli adulti che si incontravano; saper chiedere permesso; saper dire prego; saper concentrarsi su una storia o su una domanda posta.
Anche qui la pazienza e la costanza erano le uniche armi che si dovevano usare.
Infatti il bambino aveva insegnato all’educatrice che lui aveva bisogno di ripetere spesso una cosa prima di capirla e poi ripeterla spesso prima di accettarla e poi ripeterla spessa prima di applicarla.
E, così, con pazienza, costanza, amore, fermezza e con un atteggiamento di ascolto l’educatrice cercava di insegnare queste e tante altre cose al quel bambino che con amore, dedizione, pazienza e tanti capricci cercava di distruggere pezzettino per pezzettino quel buio che continuava a frenarlo nella sua crescita e nel suo desiderio di felicità.

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