Friday, 28 January 2011

Edith Stein e “La struttura della persona umana


Nel semestre invernale 1932-1933 Edith Stein tenne presso l’Istituto di Pedagogia scientifica di Münster un corso intitolato “La struttura della persona umana”, che doveva servire come sfondo teoretico per l’elaborazione di una filosofia dell’educazione. La riflessione filosofica sull’educazione conduce infatti alla domanda cruciale: che cos’è l’essere umano in quanto soggetto e oggetto dell’educazione? Per rispondere ad essa, è necessario il ricorso a un’antropologia filosofica Per tale motivo, prima di qualsiasi operazione pedagogica la Stein si preoccupa di rispondere alla domanda essenziale: chi è l’uomo? 




Allora la concezione antropologica si pone come fondamento della pedagogia e dell’opera educativa. La stessa fondazione di una antropologia filosofica si presenta come risposta alla psicologia del profondo che non rende conto della struttura dell’essere umano. Con essa siamo ancora a livello della vita naturale e spontanea dell’anima che non ha ancora un centro (Kern). Secondo la Stein per il fondatore della psicanalisi le potenze del profondo, che determinano la vita come forze invincibili, sono le pulsioni dell’uomo. Rispetto alla concezione idealista, diventa chiara, in questa nuova visione dell’uomo, la detronizzazione dell’intelletto e della libera volontà sovrana, il venir meno dell’accettazione di una realtà oggettiva, del riconoscimento di uno scopo accessibile e raggiungibile con la volontà. Si frantuma anche l’unità spirituale dell’umanità e il senso oggettivo della sua creazione culturale. Ha ancora senso, in una tale visione, un impegno pedagogico? Come scopo resta, in fondo, solo l’essere umano in cui le pulsioni funzionano “normalmente”, come compito la cura o la prevenzione di disturbi dell’anima, come mezzo l’analisi della vita superficiale, la scoperta della pulsione attiva. In realtà, anche la Stein ammette che non tutto il nostro agire scaturisce dalla guida sicura della volontà, tuttavia non si può neanche sostenere in maniera assoluta che la persona è determinata dalle pulsioni inconsce e dalla psiche sottoposta a mere leggi causalistiche. Stein passa all’analisi preparatoria dell’essere umano inteso nella sua totalità di corpo, anima/psiche e spirito. Se formazione ed educazione devono cogliere l’essere umano nella sua totalità di corpo vivente ed anima, è importante per l’educatore conoscere la struttura, funzioni e leggi di sviluppo del corpo umano per sapere cosa può essere utile o dannoso in maniera conforme alla sua natura. È ugualmente importante conoscere le leggi generali della vita dell’anima umana per tenerne conto nell’opera educativa.
L’umanità concreta così come ci appare nella realtà della vita ha un logos, una legge costitutiva o una struttura d’essere universalmente comprensibile che può essere messa in rilievo muovendo da ciò che è dato concretamente, in quanto essa parte da realtà di vita concrete e da forme storiche, afferra l’essere umano come spirito e in tal modo ciò che è essenziale come persona spirituale; tutto ciò che è esteriore e che viene preso in considerazione è linguaggio dello spirito o sua pienezza d’essere.
Il metodo utilizzato per l’indagine antropologica è quello fenomenologico, un metodo che punta alle cose stesse e quindi alla loro struttura. Ciò che affascina di più la Stein è il fatto che attraverso il metodo di Husserl è possibile toccare con mano le questioni (SACHE) senza utilizzare teorie già elaborate, vale a dire, che se vogliamo comprendere che cosa sia l’essere umano è necessario: «porci nel modo più vivo possibile nella situazione in cui facciamo esperienza del suo esserci, vale a dire di ciò che sperimentiamo in noi stessi e di ciò che sperimentiamo nell’incontro con gli altri». Si esamina preliminarmente l’essere umano nella sua sola corporeità. Il materiale di partenza della nostra ricerca sull’essere umano è rappresentato, quindi da ciò che abbiamo dinanzi agli occhi nell’esperienza viva. Negli esseri umani estranei, probabilmente siamo attratti prima di tutto dall’esteriorità l’aspetto la statura il colore – sono tutte caratteristiche proprie di ogni cosa materiale. Infatti l’essere umano, nella sua costituzione corporea, è una cosa materiale come le altre, sottoposto alle stesse leggi, inserito nell’ambito della natura materiale. Tuttavia abbiamo bisogno di un particolare mutamento di sguardo perché questo diventi, per noi, chiaro. Infatti nell’esperienza naturale non lo vediamo mai solo come corpo materiale. Quando un essere umano si muove, questo movimento appartiene, naturalmente, alla sua immagine. E’ proprio dell’essere vivo il potersi muovere da sé. L’essere umano, quindi, è un corpo materiale ed è anche vivo. Esseri umani e animali vengono colti all’inizio, non solo come viventi, ma anche come esseri senzienti! Potremmo indicarli meglio come esseri animati. Cosa sia l’ “anima” e con quale particolare diritto possiamo parlarne qui, non è da discutere in questa sede. Il nome sta solo ad indicare che, laddove afferriamo un essere di questo genere, subito ha luogo un contatto interiore che ci permette di afferrarlo non solo dall’esterno, ma di contemplarlo interiormente e – in un certo senso – di comprenderci insieme ad esso. Solo in un certo senso, non ancora in un “senso proprio”. Poiché se il cane ci guardasse non solo implorante pieno di aspettative, ma cominciasse a parlare, non saremmo meno stupiti di quanto lo saremmo di fronte ad una pianta che sente o ad una pietra vivente. Con l’essere umano, al contrario, siamo sin dall’inizio in una relazione di scambio di idee, in un rapporto spirituale. Così già la più semplice analisi dell’esperienza quotidiana ci rivela qualcosa della struttura del cosmo e della peculiarità della posizione dell’essere umano in esso. Abbiamo una prima idea degli stadi che costituiscono il regno degli esseri viventi e vediamo l’essere umano come microcosmo, in cui tutti gli stadi trovano unità: egli è una cosa materiale, un essere vivente, un essere animato e una persona spirituale. Vediamo l’essere umano non solo come essere umano , non solo per quello che ha in comune con gli altri esseri umani. Con maggior o minor forza, spesso, già al primo incontro ci parla di ciò che egli stesso è come persona individuale e di come è, della sua essenza, del suo carattere. Ci parla con i tratti del suo volto, con il suo sguardo e le espressioni del viso, con il timbro della sua voce, con molte cose delle quali non siamo affatto coscienti. E mentre ci parla ci tocca interiormente, ci ripugna o ci attrae. Gli esseri umani sono persone che hanno una peculiarità individuale e la concezione che hanno l’uno dell’altro non è solo una questione di ragione, piuttosto è una relazione interiore più o meno profonda, presente, almeno come inizio, in ogni incontro vivo. Passando dall’incontro isolato alla convivenza stabile, ciò che è esteriore e universale, il più delle volte, scompare sempre di più dinanzi a ciò che è interiore e personale. L’essere umano sperimenta l’esistenza e l’umanità negli altri, ma anche in se stesso. A questo riguardo vi è ancora qualcosa da aggiungere. In tutto ciò che l’essere umano sperimenta, fa anche esperienza di sé. L’esperienza che egli fa di se stesso è totalmente diversa da quella che fa di tutto il resto. La percezione esteriore del proprio corpo non è il ponte per l’esperienza del proprio io. Il corpo viene sicuramente percepito esteriormente, ma questa non è l’esperienza fondamentale e si fonde con la percezione dell’interiorità, con la quale io sento il corpo vivente e me in esso. Ciò implica che io sia cosciente del mio io, non solo del mio corpo vivente, ma di tutto l’io corporeo-animato-spirituale.
Partendo dalla corporeità, possiamo chiamare individualità questa particolarità del corpo umano di essere una forma determinata, chiusa in se stessa, indivisibile e non unificabile con altre. Il corpo umano condivide questa peculiarità con tutti gli organismi. Vi è qualcosa di analogo anche nel campo di ciò che è puramente materiale, ad esempio i cristalli posseggono una forma determinata e chiusa in se stessa. Non possono essere divisi, (Il concetto di Leib/corpo vivente riguarda anche l’unicità di ogni individuo aperto all’altro ma centrato nella propria soggettività/ipseità) senza che perdano la loro propria natura; al contrario si lasciano unire con altre parti per formarne più grandi ciò è dovuto alla loro struttura atomica. Il corpo vivente, inoltre, è una «realtà tenuta insieme interiormente».
Il formarsi dall’interno, indicato da s. Tommaso come anima, forma interiore, viene definita da E. Stein forza vitale (lebenskraft), energia che dà forma alla materia. E siffatta formazione è un processo che rende il corpo umano organismo. Il corpo con la sua forma determinata, chiusa in se stessa e articolata in maniera conforme a regole, viene da noi percepito come una realtà tenuta insieme interiormente. La forma interiore (anima), in quanto qualifica il tutto, è qualcosa di qualitativamente determinato: una specie; parimenti è la forza vitale che permette il conferimento della forma. Essa dà forma ad un materiale, ad una materia. La forma vitale, l’ “anima”, fa del corpo umano un organismo. Quando in esso viene meno la vita, rimane solo una cosa materiale come le altre. La sua forma esteriore è formata dall’interno; questo formarsi dall’interno è un peculiare modo di essere, il modo di essere dei viventi. Tommaso chiama anima ciò che consente la formazione dall’interno. Aristotele parlava di entelechia per indicare il telos di questa formazione (esso è un processo vitale).
Lo stesso mondo creato si presenta come una serie gerarchica di formazioni: cose materiali, piante, animali, essere umani, puri spiriti. I livelli si delimitano per principio l’un l’altro in modo tale che con ognuno è dato qualcosa di nuovo. Non sono però privi di legami reciproci, vale a dire che nel grado di volta in volta  superiore è conservato ciò che è proprio di quello inferiore. Pertanto essere uomo significa essere allo stesso tempo cosa materiale, pianta, animale e spirito, ma tutto questo in modo unitario. San Tommaso ha difeso con la massima energia l’unità della forma sostanziale, sostenendo che l’essere umano è tutto ciò che è in virtù di una forma interiore, in virtù della sua anima umana, che è anima razionale e perciò diversa da quella delle piante e degli animali, ma contiene in sé come parte inferiore, ciò che è proprio di queste ultime. Con l’espressione “anima vegetativa”, che da Aristotele è passata nella terminologia scolastica, non si vuole affatto attribuire alla pianta un’anima, nel senso corrispondente a quella dell’essere umano, come fa una certa visione poetico-sentimentale della natura. Con essa indichiamo solo un principio vitale interiore. E mi sembra che il formarsi in maniera viva da sé e dall’interno sia proprio ciò che realmente indica l’essenza della pianta. L’ “anima vegetativa” è interamente forma corporis e null’altro. Mi pare che manchi totalmente ciò in cui siamo soliti ravvisare la peculiarità dell’anima in quanto tale – un’apertura interiore. È mia opinione che alla pianta appartenga essenzialmente una mancanza di coscienza. Tutto il suo essere è orientato a manifestare nella forma visibile ciò che essa è, non è dischiusa verso l’interno, non esiste per se stessa e non vive in se stessa. È dunque, in un senso ontico (non etico) slegata da sé e aperta senza riserve. Il che le conferisce ai nostri occhi l’aspetto di purezza e innocenza. Se siamo riusciti, almeno in parte, a fissare le peculiarità dell’essere vegetale, il nostro compito successivo sarà quello di cercare nell’essere umano ciò che in sé ha conservato di vegetale. Vorrei riallacciarmi a ciò che ho or ora indicato come appartenente allo sviluppo puro dell’essere vegetale e che avevo menzionato precedentemente come caratteristica del corpo vivente umano, cioè la posizione verticale. Sembra che qui essere umano e pianta si incontrino in qualcosa che manca all’animale. La posizione verticale sembra un trionfo sulla materia e nel volto umano come nel fiore si può ravvisare la più perfetta manifestazione del proprio essere. Tuttavia, la posizione della testa nell’essere umano sembra assumere un altro significato; la testa è ciò che domina tutto il corpo, ciò da cui esso viene abbracciato con lo sguardo, compreso e governato. Qui la direzione verticale è duplice; dal basso verso l’alto – la crescita verso la luce, dall’alto verso il basso – un percepire se stesso dall’alto. Perciò il corpo umano si differenzia da quello vegetale e animale, malgrado la comunanza del carattere organico. Questa comunanza sta sia nella manifestazione di sé che nel prender forma, nello sviluppo di una legge di formazione interna. Lo sviluppo del corpo vivente umano da semplice cellula ad organismo complesso è di certo l’esempio più meraviglioso di processo organico, in cui, mediante la crescita e la progressiva differenziazione, si forma l’insieme teleologicamente (cioè con un telos che significa un fine verso cui si è orientati) ordinato con il perfetto gioco reciproco delle parti. Non si usa solo un’immagine poetica quando si paragonano così volentieri i bambini ai fiori, ma vi è un fondamento reale, infatti si rintraccia anche in questo caso uno sviluppo ed una manifestazione di sé relativamente intatti, un riposo in se stessi. E perciò abbiamo anche un’impressione d’innocenza, di pace e di altruismo. Il carattere organico emerge, inoltre, in maniera relativamente più forte nella donna che nell’uomo, più nell’essere umano che vive in modo naturale che in quello civilizzato.
L’animale, invece, appare in ogni suo movimento stimolato dall’interno e attratto o respinto dall’esterno. I suoi movimenti nascono dal contrasto tra le due cose. E come quiete e chiusura in sé sono caratteristiche della pianta ed il forte radicamento alla terra è come il simbolo della sua essenza, così per l’animale sembra essenziale l’assenza di quiete e di fissità, che esige necessariamente libertà di movimento nello spazio. Definiamo sensazione l’essere colpito interiormente, che provoca il movimento reattivo, come percezione di ciò che accade all’essere vivente (nella usuale terminologia psicologica la sensazione è considerata già una reazione).  L’animale sente ciò che accade ad esso sul, nel e col suo corpo vivente. Il corpo vivente è percepito immediatamente come senziente e proprio questo lo differenzia dal mero organismo. La sensibilità agli stimoli esterni è un’apertura della natura animale verso l’esterno, la sensibilità nei confronti di se stessi e un’apertura verso l’interno. Così ci imbattiamo in un essere interiore. Abbiamo rinvenuto in esso una forma interiore come principio di vita, e di formazione che viene tradizionalmente indicata come “anima vegetativa”, ma la sua vita si esaurisce nell’attività formativa. L’anima animale viene tradizionalmente indicata come anima sensitiva, come anima sensibile.
 “Avere un’anima” significa possedere un centro interiore in cui converge sensibilmente tutto ciò che proviene dall’esterno, da cui scaturisce tutto ciò che nell’atteggiamento del corpo vivente appare proveniente dall’interno. È il punto di scambio a cui arrivano gli impulsi e da cui partono le reazioni. E se la vita animale è un inquieto essere sospinti e mossi, allora il luogo proprio dell’inquietudine è l’anima che è consegnata a questa attività e non si può sottrarre ad essa. L’anima lo muove secondo ciò di cui ha bisogno, gli istinti dell’anima sono al servizio del mantenimento e dello sviluppo del corpo, come desiderio di ciò di cui esso ha bisogno e repulsione verso ciò che lo minaccia. Anche nell’essere umano rinveniamo un’apertura sensibile a impressioni esterne ed interne e la reazione ad impressioni esterne con atti e movimenti istintivi. E qui possiamo effettivamente sperimentare interiormente, in noi stessi, cosa voglia dire percepire sensitivo e agire reattivo. Abbiamo questa possibilità perché non siamo esseri puramente sensitivi, ma capaci di conoscenza spirituale. In virtù della nostra spiritualità, riusciamo a cogliere ciò che c’è di animale in noi. Abbiamo certi stati di sentimento generale che non sono legati a determinate e precise impressioni sensoriali, ma vengono avvertiti, allo stesso tempo, mediante l’anima e il corpo vivente, come stati globali: freschezza e spossatezza, piacere e dispiacere. Sperimentiamo in noi anche una sorta di valutazione istintiva del significato che per noi riveste ciò che incontriamo. Certi cibi ci disgustano in un modo che va ben oltre il semplice fatto di non essere di nostro gusto. Di altri abbiamo un desiderio tanto grande che non si giustifica con il fatto che ci procurerebbe gioia, ma ne avvertiamo il bisogno. L’esperienza ci mostra che gli istinti umani non sono così fini e sicuri come quelli degli animali. Pur tuttavia non se ne può negare la presenza. Le analisi essenziali dell’anima condotte da Edith Stein compensano il pericoloso squilibrio dalla parte dell’inconscio e delle pulsioni, guadagnando una posizione più proporzionale e armonica. Qui la coscienza, intesa come faro in grado di illuminare gli strati più oscuri e profondi, assume un ruolo decisivo.
A differenza della pianta e dell’animale, nei quali le capacità specifiche non si sono sviluppate a causa di condizioni esterne, per l’essere umano, in più, si considera lui stesso responsabile di ciò che egli è diventato. Cosa vuol dire che l’essere umano è responsabile di se stesso? Vuol dire che da lui dipende ciò che egli è, e che gli si chiede di fare di sé qualcosa di determinato: egli può e deve formare se stesso. L’essere umano, nella sua totalità, viene plasmato mediante la vita attuale dell’io e costituisce “materia” per la formazione attraverso l’attività dell’io. Proprio qui siamo di fronte al sé, che può e deve essere formato dall’io. Ciò per cui mi decido in ogni momento definisce non solo la struttura della vita attuale e presente, ma è importante per ciò che io, essere umano nella mia propria interezza, divento. L’essere umano, con tutte le sue capacità corporee e psichiche, è il che io devo formare. Ma cos’è l’io? L’abbiamo chiamato persona spirituale, libera; gli atti intenzionali sono la sua vita. Questo io libero, personale, come tale, sta al di fuori della natura corporea e psichica che deve formarlo col suo agire, o appartiene ad esso, ne è la “forma interiore”? Che io debba formare me stesso sembra indicare che l’io debba essere incluso in una tale unità reale.
Io non sono il mio corpo vivente, io ho e domino il mio corpo vivente. Posso anche dire: io sono nel mio corpo vivente. Idealmente posso allontanarmene e osservarlo come dall’esterno. In realtà sono legato ad esso. Sono là dove si trova il mio corpo vivente, anche se “in spirito” posso portarmi all’altro capo del mondo e persino elevarmi al di sopra dello spazio. Non posso, però, individuare il punto nel corpo in cui l’io avrebbe la sua dimora. Si è tentato di farlo in passato: ma quand’anche l’anatomia cerebrale potesse indicare una parte determinata del cervello la cui distruzione comportasse una diminuzione della “coscienza dell’io” e dell’intera struttura personale-spirituale, non potremmo affermare che l’io si trovi in questo punto. L’io non è una cellula cerebrale; ha un senso spirituale che è accessibile solo nei nostri vissuti. Ed anche la localizzazione dell’io può essere determinata solo a partire dal vissuto. Questa localizzazione vissuta non deve essere determinata fisicamente. Posso recarmi in qualunque punto del mio corpo vivente ed essere presente in esso, sebbene alcune parti, ad esempio la testa e il cuore, mi siano più vicine di altre.
Giungiamo qui alla radice dell’unità fra corpo vivente e anima; ma con ciò anche alla domanda: in quale rapporto l’io è con l’anima? Io sono la mia anima? La Stein nel Il problema dell’empatia dice che l’io puro è: «il Soggetto dell’esperienza vissuta privo di qualità e non altrimenti descrivibile». L’abbiamo chiamato persona spirituale, libera. L’Io è quel punto da cui partono i raggi della coscienza, ma solo un io che ha l’anima può sentirsi a casa. La mia anima ha estensione e profondità etc. A seconda degli atti in cui, di volta in volta, l’io vive, esso occupa una posizione nell’anima. Vi è però, un punto nello spazio dell’anima in cui l’io trova il suo luogo proprio, il luogo della sua pace, che esso deve cercare finché non lo abbia trovato e a cui sempre deve tornare se lo ha abbandonato, questo è il punto più profondo dell’anima. Solo da qui l’anima può raccogliersi, poiché da nessun altro punto può abbracciare se stessa totalmente. Solo da qui può prendere decisioni in piena coscienza, da qui può impegnarsi per qualcosa, può sacrificarsi e donare se stessa. Questi sono tutti atti della persona. Io devo prendere decisioni, devo impegnarmi, ecc. Questo è l’io personale che, allo stesso tempo, è un io animato, che appartiene a questa anima e in essa ha la sua dimora. Chi vive prevalentemente o esclusivamente alla superficie, non possiede ciò che appartiene agli strati più profondi. Essi sono presenti, ma non sono attualizzati, non così come potrebbero o dovrebbero esserlo. La persona non si possiede nel senso di aversi in mano, completamente e non vive in maniera piena la sua vita. Non è in grado di accogliere, come si conviene, ciò che ad essa giunge dall’esterno, infatti ci sono cose che vengono accolte solo movendo da una certa profondità e solo da lì possono ricevere una risposta adeguata.“Cercare se stessa”, discendere nella propria profondità, da qui comprendersi come una totalità e possedersi nel senso di aversi in mano è, però, una questione di libertà. Perciò è colpa della persona se l’anima non giunge alla pienezza del suo essere e della sua forma. Questa struttura essenziale dell’anima può essere considerata come una forma interiore. Ciò che mediante essa, viene formato è, innanzitutto, la sua vita attuale. Senza dubbio si deve parlare di una formazione del corpo vivente mediante l’anima e precisamente nel doppio senso della formazione dovuta alla struttura essenziale e quella realizzata per mezzo dell’agire libero. La natura interiore di un essere umano si esprime attraverso la sua esteriorità, che costituisce per noi la più importante via d’accesso alla natura dell’altro. Non possiamo determinare il momento in cui l’anima entra nell’esistenza; essa però, inizia ad esistere in un corpo vivente umano che è una cosa materiale, un organismo vivente e un corpo vivente animato. Ciò che l’individuo umano è, e può diventare, non dipende solo da ciò che è in lui è più elevato, ma anche da tutti i livelli inferiori dell’essere a cui appartiene. Questo deriva dall’ordine generale dell’essere, che esige una materia con un carattere determinato perchè possa svilupparsi pienamente una forma determinata. Si osserva però da un punto di vista puramente fenomenico, una dipendenza della vita psichico-spirituale dalla natura e dallo stato in cui si trova il corpo vivente. La malattia e la debolezza del corpo, le alterazioni delle sue funzioni normali causano un’inibizione e un cambiamento della vita psichico-spirituale. Il corpo vivente non è solo espressione dello spirito, ma anche lo strumento di cui quest’ultimo si serve nel suo agire e creare. Riassumendo possiamo dire che ogni cura sistematica ed appropriata ed ogni esercizio del corpo cooperano affinchè esso possa diventare un corpo vivente spirituale. Il prendere forma del corpo vivente, mediante la vita psichico-spirituale attuale, non comincia da un materiale totalmente informe, ma il corpo vivente, in cui si sviluppa la vita spirituale, è già fin dall’inizio corpo vivente formato e questa formazione è assunzione di una forma piena di significato, che corrisponde al modo di essere proprio dell’anima, anche se essa vi corrisponde in maniera più o meno perfetta. L’essere umano può e deve formarsi.
Abbiamo così tracciato un abbozzo della persona umana: l’essere umano è un essere costituito di corpo vivente e anima, ma essi assumono in lui una forma personale. Ciò significa che in lui dimora un io, che, che è cosciente di se stesso e che volge lo sguardo ad un mondo, un io che è libero e che grazie alla sua libertà può dar forma al corpo vivente e all’anima. Un io che vive a partire dalla sua anima e che, attraverso la struttura essenziale dell’anima, prima e accanto alla formazione volontaria di se stesso, dà spiritualmente forma alla vita attuale e all’essere psico-fisico permanente. In ultima analisi proprio lo spirito rappresenta l’aspetto più proprio della persona umana.
Il termine spirito è divenuto ormai poco usuale, “fuori moda”, nel linguaggio filosofico; è ritenuto un argomento dietro il quale sembra non esservi più nulla, un po’ per colpa di un certo esasperato idealismo e un po’ perché siamo divenuti tutti eredi di una mentalità positivistica per cui crediamo soltanto a quanto è “sperimentabile”. Lo spirito, il Geist, riveste, invece, un ruolo fondamentale, sia per Husserl che per la Stein, in quanto rappresenta il mondo del senso; ciò che contraddistingue l’esperienza umana nel modo più proprio e inequivocabile. È il regno di ciò che vale, è il regno della libertà, è il mondo dell’intersoggettività, dei rapporti reciproci, senza la lo spirito la realtà psichica si dissolverebbe in una serie di monadi psichiche. Lo spirito non consente di guardare gli altri con gli occhi dello studioso di scienze naturali, quest’ultimo, per Husserl non vede le persone, né gli oggetti della cultura dotati di senso e significato. La Stein condivide pienamente la visione del maestro, considerando la dimensione spirituale quella umana per eccellenza. A prova di ciò ella afferma: «Lo spirito è un emergere da se stessi, un’apertura in una duplice direzione, verso il mondo oggettivo, che viene esperito, e verso la soggettività estranea, lo spirito estraneo, assieme al quale si esperisce si vive». I contributi apportati dal cristianesimo, non in conflitto con la precedente visione, consentono di ampliarla e approfondirla, consentendo alla Stein di tracciare una vera e propria mappa dello spirito. Infatti, le sue analisi toccano lo spirito soggettivo, oggettivo, per passare poi al puro spirito finito e a Dio, spirito puro per eccellenza. Per la fenomenologa lo spirito gioca un ruolo fondamentale, è un aspetto di primaria importanza dell’essere umano. Il soggetto spirituale è l’io nei cui atti si costituisce un mondo di oggetti e che in forza della sua volontà crea esso stesso oggetti. Gli atti spirituali si connettono in maniera molto stretta, attraverso una connessione di senso che E. Stein, come abbiamo detto nel nostro corso, chiama motivazione.  Inoltre il mondo dello spirito è soprattutto il mondo dei valori verso i quali si applica, per Husserl come per la Stein, una duplice intenzionalità: verso l’oggetto così come si presenta e verso questo stesso oggetto in quanto portatore di valore. Il soggetto che vive i valori viene considerato una persona in quanto le sue esperienze si fondono in unità di senso ed è perciò intellegibile. Infatti, una persona può essere compresa, solo tenendo presenti i valori in cui crede e mediante i quali agisce. Con l’intentio (vuol dire tendere ad, rivolgersi) iniziano gli atti che segnano l’avvio della vita spirituale ed è proprio con essa che l’essere umano si sottrae al regno della natura, aprendosi in questo modo al regno della libertà. La vita intenzionale dello spirito è l’atto che dà avvio all avita spirituale che inizia quando l’io apre il suo sguardo spirituale e si dirige verso qualcosa che gli si presenta, divenendo per lui oggetto. Tale visione rimane, in Edith Stein, immutata anche nelle opere della maturità, infatti lo spirituale continua ad essere  dotato di: «un’interiorità in un senso assolutamente sconosciuto a ciò che è materiale ed esteso. Se esce da sé, questa esteriorizzazione può avvenire in molteplici modi: come un rivolgersi verso gli oggetti, come un aprirsi puramente spirituale a spiriti estranei, e come penetrazione in loro al fine di comprendere e partecipare della loro vita spirituale; ma anche come un vero strutturarsi nello spazio tuttavia permanendo in sè.
Ed è proprio in un legame di spirito che si concretizza la tradizione, la religione, gli usi, i costumi che fungono da collante all’interno di una comunità o di un popolo. La Stein dà un’ulteriore specificazione di spirito oggettivo, in quanto lo intende come spirito proveniente dall’oggetto. Infatti il concetto di spirito non è legato unicamente a Dio, ai puri spiriti e alla anime umane, perché esistono dei valori come il sublime, la bellezza che non sono persone. La bellezza di un paesaggio non è materiale anche se si configura attraverso il momento materiale, essa possiede un senso spirituale autonomo dal soggetto che lo contempla per cui non si può non desumere che il regno dello spirito abbraccia l’intero creato. E che quindi tutta la materia è attraversata dallo spirito. Tuttavia, proprio l’essere umano è essenzialmente spirito, la definizione, come già detto, non è condivisa da tutti nella cultura occidentale, anzi le interpretazioni positiviste o empiriste, che ai nostri giorni sottostanno a prese di posizione cognitiviste o largamente naturalistiche, sembrano prendere il sopravvento; non a caso quando si affronta la tanto dibattuta questione mente-corpo, si parla di “mente” perché si rifiuta, come residuo di una vecchia metafisica, il termine “anima”. Si comprende allora perché il termine spirito non sia neppure preso in considerazione. Nella tradizione anglosassone il termine “spirito” è tradotto con mind, parola “tuttofare” che indica genericamente un’attività non corporea, ma che non può certamente rendere la sottile distinzione fra psiche e spirito proposta dai fenomenologi, distinzione che viene del tutto perduta. Ciò si presenta come una conferma delle origini positiviste, empiriste e pragmatiste della cultura filosofica anglosassone la quale per ragioni epocali, tende ad essere dominante nel nostro tempo. L’anima sostanzia, si incontra con un corpo (struttura materiale formale). Edith Stein spiega questo punto cruciale della sua analisi attraverso l’utilizzo del concetto di forza vitale anche nel confronto con s. Tommaso circa la natura dell’anima. Secondo s. Tommaso l’anima è forma corporis e al contempo possiede potenze, habitus e una vita attuale; essa è altresì forma sostanziale, cioè anima spirituale non più necessariamente legata al corpo. Siamo in presenza di una forma che configura la materia: essa tiene unite una molteplicità di materie, le struttura in un organismo chiuso in se stesso e le ordina al tutto. Si tratta di una forma che è forza vivente. La Stein traduce la “potenza” implicita, non ancora attuata, di cui parla Tommaso, con tale forza vitale e poiché tale forza può essere tanto psichica quanto spirituale, il termine anima (Seele) si scinde e si specifica ulteriormente, per cui dalla parte psichica si distingue una parte più propriamente spirituale, denominata Geist. Così l’essenza spirituale si lega con la parte materiale, la quale viene così individuata dallo stesso principio spirituale che con esso forma un’unità. In questa unità, da una parte l’Io dimora nel corpo vivente e tale dimorare non è fittizio, come in una casa che si può lasciare a piacimento, ma è un vero e proprio radicamento; dall’altra, il corpo è qualcosa anche senza l’anima, ma è “questo” corpo solo grazie a “questa” anima e in unità con essa. La Stein muovendo dalla modalità del vivere ha cercato e trovato la chiave d’accesso all’anima dell’essere umano, con la sua struttura costitutiva personale. Essa è la forma di tutto l’individuo psicofisico. Sono solita indicarla come centro della persona, poiché il tutto, che chiamiamo “persona umana”, trova in essa il centro del suo essere. Si tratta di quel fondo dell’anima che è stato mirabilmente descritto da Santa Teresa d’Avila con la metafora del castello interiore scolpito nel diamante. Con ciò si entra decisamente nel campo dell’esperienza mistica che per la Stein rappresenta una straordinaria convalida della descrizione fenomenologico-essenziale della persona umana.
La compenetrazione tra anima (Seele) e corpo (Leib) si realizza attraverso la forza che penetra ambiti strutturalmente differenti. L’essenza spirituale si lega in unità con la parte materiale, la quale a sua volta non costituisce il principio di individuazione, ma è individuata dallo stesso principio spirituale e tale unità si compendia per cui la materia diventa corpo vivente permeato di spirito e lo spirito diventa materializzato. 
L’essere umano può porsi degli obiettivi basandosi su riflessioni puramente spirituali, ma non può raggiungerli senza la collaborazione del suo corpo. Alla luce di ciò per comprendere la dimensione spirituale si introduce, pertanto, il concetto di forza spirituale in analogia con la forza vitale, ma con una valenza diversa. Paradossalmente la forza spirituale è materia degli spiriti che non hanno corpo, cioè degli angeli. Nessun essere creato è privo di materia, infatti, materia, si dice in molti modi e non corrisponde solo a ciò che noi intendiamo per materia, al contrario, se la materia è forza, ci sono diversi livelli di forza. La forza vitale è il principio di animazione dell’organismo, questa acquisizione filosofica è confermata dalle conquiste della genetica relative allo studio della cellula germinale che determina i mutamenti dell’essere vivente. Si potrebbe dire che la scoperta del DNA e del genoma non fanno altro che confermare che l’individuazione non è della materia, ma di una materia “formata” con una sua caratteristica essenziale e a tale forma si deve far risalire la singolarità dell’essere umano.  È messa in discussione la continuità dalle forme più basse a quelle più alte sostenuta dall’evoluzionismo. La forma vivente non è solo forma di un essere vivente  ma è essa stessa vivente, non nel senso che sia fissa e immutabile – in questo modo si accetta qualche suggerimento dall’evoluzionismo – ma nel senso che nell’individuo si sviluppa dapprima ciò che è organico, poi ciò che è animale, tuttavia senza che l’essere umano sia prima pianta, poi animale e quindi uomo, perché è essere umano fin da principio, a causa della presenza dello spirito: l’anima accoglie lo spirito. Tuttavia questo è un processo. La critica al naturalismo evoluzionistico non significa fissità, non tutto è già pronto, c’è un dinamismo che consente di distinguerci dai puri spiriti e, se ci connette alla natura, non ci “lega” ad essa.  La posizione steiniana si presenta molto attuale; potrebbe essere utilizzata nella discussione nell’ambito della bioetica.
La struttura dell’essere umano si presenta sempre più complessa man mano che l’analisi procede. I tre elementi sopra indicati corpo vivente, anima e spirito sono solo ampi territori all’interno dei quali è possibile scavare per rintracciare elementi ancora più profondi. L’anima, particolarmente articolata a causa della compresenza della dimensione psichica e di quella spirituale, contiene l’io, punto mobile di consapevolezza, la cui azione consiste nella plasmazione del sé. Con poche battute e con l’acutezza che la distingue E. Stein sembra chiarire il rapporto fra io e sé che tanto ha travagliato e travaglia la psicologia analitica junghiana in particolare. Il sé sembra costituire, secondo la filosofa, l’elemento permanente e diveniente legato all’esercizio, allo habitus. All’io, allora, bisogna riconoscere la capacità di dominio sul corpo e sull’anima. La dimensione dell’interiorità può essere percorsa dall’io, inteso come il punto da cui partono i raggi della coscienza, ma c’è un fondo dell’anima che ci accompagna, una spazialità interiore con un centro. Tale dimensione è raggiungibile se prescindo da tutta l’esperienza esterna, in cui gli esseri umani mi vengono incontro come esseri aventi corpo vivente e anima, allora se è possibile “prescindere” da essi, tuttavia è impossibile ignorarli, infatti, «l’individuo umano isolato è un’astrazione». (Per il pensiero neoebraico di M. Buber ogni “tu isolato” diventerebbe un «esso»). La Stein non può tralasciare la dimensione sociale che non è aggiunta estrinsecamente al singolo né è tale da assorbirlo completamente. Tale dimensione si estende fra i due estremi delle appartenenze tipologiche al gruppo, del tutto inconsapevoli, e delle forme riflesse di legami, come quello di nazionalità; nessun aspetto è trascurato, la descrizione fenomenologica non sceglie solo quello che si ritiene positivo, ma mostra “ciò che è”; la struttura della persona umana è anche una struttura sociale, nel bene e nel male.
L’antropologia non è descritta completamente se non si coglie la presenza della dimensione religiosa e la sua imprescindibilità per lo sviluppo armonico dell’essere umano e per la questione del suo destino ultimo. Questo complesso di conoscenze viene indicato con il termine “teologia”. In primo luogo la Stein ribadisce la necessità della Rivelazione per la piena comprensione dell’essere umano e quindi in questo caso, la riflessione sul valore della Rivelazione può essere considerata filosofica, in quanto si tratta dell’esigenza sentita dalla mente umana di aprirsi alla dimensione della fede, in secondo luogo ella fa riferimento alle verità rivelate, allora la sua trattazione si definisce teologica. Il terzo livello è quello proprio dell’adesione di fede che cerca la salvezza e la cerca attraverso i sacramenti come mezzi vitali di nutrimento spirituale; privilegiato è il sacramento dell’Eucarestia. La centralità dell’azione salvifica di Cristo si manifesta attraverso il suo corpo vivente. Puntando sull’aspetto antintellettualistico di tutta la prassi educativa, la Stein insiste sul valore dell’esempio che l’educatore deve fornire all’educando, in particolare nel campo religioso. Il libro si conclude con un richiamo alla prassi, il cerchio si chiude, ma non sul piano dell’immanenza, come potrebbe sembrare, ma attraverso l’elevazione alla trascendenza.

[La struttura della persona umana], Città Nuova, tr. it. di M. D’Ambra, Roma 2000. pp. 40 e ss.































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