Thursday, 3 February 2011

PER GUSTARE DI PIU' LA GIOVINEZZA


Il tempo della lettura è un tempo di contemplazione ed è anche il tempo dell’attenzione e dell’interesse per tutto ciò che è umano, attraverso i secoli e per tutti gli spazi e i luoghi e le lingue e le civiltà del mondo in cui viviamo. E’ naturale che si sia sempre più ristretto, in senso reale e in senso ideale, in un’età, quale è la nostra, dove il primato è dato all’azione e quel che si legge finisce per essere soltanto ciò che è di moda, ciò che è attuale, ciò che sarebbe colpa sociale non conoscere, anche se è così effimero da non durare oltre la stagione in corso. Leggere significa, al di là delle mode e dell’attualità, in primo luogo una scelta fra il fare un’esperienza attiva del mondo e, invece, il fare un’esperienza puramente passiva, indotta, servile.
La lettura dovrebbe essere quanto più possibile slegata da scopi troppo pratici e immediati: la conoscenza del mondo ha da esserne, appunto, il fine, non l’occasione della moda o dell’obbligo scolastico.
Inoltre la lettura deve essere un modo di approccio non soltanto a ciò che è diverso da noi (magari anche opposto), ma pure appartiene all’esperienza e alla storia dell’uomo, quanto anche a ciò che è grande. Si è molto, ahimè, dissacrato in questi anni, e così si è perso il senso della grandezza di chi ha saputo dare agli uomini messaggi fondamentali per la loro storia e la loro vita: e così tanto spesso o la lettura consigliata nella scuola ha riguardato i minimi tra i contemporanei, quelli che si può benissimo non leggere senza essere affatto diminuiti nella propria umanità, oppure ha riguardato, sì, i grandi, ma irrisi, beffati, sprezzati, perché non alla moda, non “moderni”, non attuali, soprattutto (ed è il delitto peggiore) non partecipi dell’ideologia dell’insegnante. [….]
Eppure la lettura è anche l’esperienza di ciò che è maggiore di noi, più vivo, più profondo, più illuminante, più vero: è esperienza di grandezza, appunto, e senza la consapevolezza che c’è stato e c’è qualcosa di grande e di superiore a noi e ai nostri tempi e ai nostri problemi e ai nostri affanni si finisce davvero piccoli, deboli, fragili, ma senza saperlo e, di conseguenza, presuntuosi e superbi e ciechi di fronte alla realtà spesso miserabile della nostra storia (e capaci perfino di prendere sul serio le vicende di essa più ridevoli: i discorsi dei segretari dei partiti, gli inganni di chi ci propina, per ragioni commerciali o per oppressione politica, mode e parole d’ordine).

Giorgio barberi Squarotti, “il sabato” 13/03/1982

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