Monday 22 October 2018

La vocazione del maestro

di Maria Zambrano

Parte II
La mediazione
Ogni vocazione è per essenza mediatrice. L’abbiamo visto via via per tutti i suoi meriti scoperti empiricamente e nella considerazione finale che potremmo chiamare metafisica. Mediatrice tra le forze e le modalità che costituiscono l’individuo, mediatrice tra i piani dell’essere e quelli della realtà, della vita e della ragione. Ma è mediatrice, anche, e in sommo grado, in senso sociale, tra individuo e società, perché ogni vocazione, essendo un’offerta, è per essenza di natura sociale. Non vi è nulla più di essa che leghi l’individuo alla società; né la posizione sociale ereditata, né le funzioni di potere, né le apparizioni folgoranti sulla scena creano questo vincolo permanente tra l’individuo e la società come quando il maestro compie la sua vocazione.
Situarlo all’interno della sua specie continua a essere un modo sicuro per scoprire l’essere qualcosa, come abbiamo tentato di fare; in seguito si vedranno in esso le differenze in rapporto al genere o ai generi più prossimi. Continueremo a tentare di fare così.
In questo caso, l’etimologia della parola “maestro” non ci sorprende molto perché viene da “magister”, come be si sa, e “magister” dicono che provenga da “magis”, un avverbio comparativo. È un grado assoluto, quindi, è il massimo. Ma questo “massimo” a che altro si riferisce che sia meno di lui? Non si coglie chiaramente perché da una parte il grado di maestro è il massimo grado per l’apprendista nei lavori manuali e nell’artigianato, status che –conviene non dimenticarlo – è più di studente o di laureato e di dottore, se si parla di studi. Il maestro è dunque più di quel che lui stesso era prima di arrivare a esserlo, il gradino superiore di una scala, la chioma di un albero. Ho dovuto arrivare ad esserlo. È dunque un compimento, un termini più in là del quale non e n’è nessun altro. Nel caso degli uffici e dell’artigianato si tratta del grado superiore del fare, negli studi è il grado superiore del sapere ma non solo, si tratta del sapere che bisogna insegnare – cosa non meno vera per quanto riguarda i lavori manuali.
Si tratta dunque di una posizione che trasmette, per eccellenza, per antonomasia, giacché l’apprendista o lo studente può trasmettere qualcosa ai suoi compagni ma se non riesce non manca ai suoi doveri, mentre il maestro cessa di essere tale, si muta in una controfigura del suo essere se non ottiene di trasmettere in qualche modo il suo insegnamento a coloro che gli sono affidati, inizialmente a tutti. Da qui il fatto che il maestro, che risveglia tanto terrore nell’alunno quando lo esamina, viene sempre esaminato; la sua azione è un esame perpetuo, una continua prova. 

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