Tuesday 24 March 2020

Ordet (La Parola) di K.T.Dreyer

Ordet
Drammatico, Danimarca 1955, di K.T.Dreyer


“Il film di questa sera si intitola Ordet, che vuol dire “la parola”, il verbo. La situazione che presenta è quella del modo di vivere la fede; bisognerebbe andare a riprendere che cosa è la fede. Quello che abbiamo spiegato di quelli che seguirono Gesù, la fede era riconoscere un presenza, riconoscere uno presente, riconoscerne l’autorità, il valore, quindi, fidarsi di lui. Questo è controcorrente rispetto alla mentalità normale.


Il film è una parabola e presenta l’uomo di fede, veramente di fede, come uno che viene visto anormale, anche la voce è anormale; in famiglia lo considerano un po’ svanito per colpa di Kierkegaard, il filosofo. Invece, guardandolo, vedrete che l’unica persona che giudica e che vive veramente la fede è lui, anche in mezzo alla fede semplice, come per esempio del padre di famiglia o della nuora, che però non rischiano la fede fino alla pretesa del miracolo, oppure la fede formale di quelli che si ritrovano nella casa del sarto a parlare di cose vuote e non concrete, o la non fede - non per cattiveria - del figlio maggiore, che dice di non credere più. Invece nella fede di questo personaggio è possibile il miracolo di questa donna che muore e ritorna alla vita, ma è possibile perché la fede di questo coincide con la semplicità di cuore della bambina, che gli chiede di svegliare la mamma: lui le chiede se davvero lo crede possibile e lei risponde che ci crede. Allora davanti alla fede succede il miracolo, che poi è la vita. Infatti il film termina con questa parola, “vita”, mettendo così, con questo amore alla vita e in nome della fede, a tacere tutte le divisioni che c’erano tra i vari gruppi cristiani o le varie rivalità, per cui trionfa la vita come comunione, amore. A parte questa breve spiegazione, ci sono molti altri significati e suggestioni che a ciascuno possono dare spunti per riflettere. Il regista Dreyer è molto importante, infatti dovrebbe essere il primo o il secondo nelle graduatorie dei migliori registi.” (da The Others e TGC “Inquieto è il mio cuore finché non riposa in te”)

Con Ordet (Leone d’Oro a Venezia nel 1955) Dreyer guarda in faccia il problema della fede, che qui viene presentata come non tanto dissimile dalla “follia”, ma la “follia” che fa miracoli. Studente di teologia, Johannes, secondogenito della famiglia Borgen, che abita in una grande fattoria nella brughiera, fugge di casa urlando; crede di essere Gesù. Lo sconcerto del vecchio padre autoritario, del primogenito Mikkel, un miscredente, di sua moglie Inger, che non ha mai abbandonato la fede, e del ragazzo, Anders, è enorme. Lo cercano, lo chiamano, ma invano. La vita prosegue con i suoi piccoli e grandi drammi; Anders si vede rifiutare la mano della fidanzata dal sarto suo padre. Giunge nel villaggio un nuovo pastore, che si scontra subito con Johannes, rientrato a casa, che scaglia anatemi contro la chiesa. Il vecchio Borgen aggredisce il sarto colpevole dell’affronto fatto al figlio. Inger ha un parto prematuro e muore. Il lutto colpisce tutto il villaggio, scioglie i cuori; il sarto cede e accetta che la figlia sposi Anders. Quando stanno per chiudere la bara, compare Johannes che ordina alla morta di alzarsi, di tornare come Lazzaro in vita. Il miracolo avviene. Mikkel abbraccia la resuscitata, e crederà.

La “follia” è proprio qui; la straordinarietà della regia ci mostra il miracolo; Johannes può anche non esser folle, Inger può anche non esser morta. Tutto può sembrare incerto, come nel pessimismo di Kiekegaard, ma quello che qui è certo è tutti invocano il Cristo morto, ma non credono nel Cristo vivente. Credono nei miracoli accaduti duemila anni fa e non credono in quelli che accadono oggi. Il vecchio Borgen attendeva il miracolo, voleva un nuovo profeta, una nuova rivelazione, qualcosa che sconvolgesse tutto; ma gli arriva Johannes, non proprio quello che sperava. Johannes, il folle, è l’unico che guarda i segni e la realtà con gli occhi di Cristo e non come tutti; l’unica persona che lo riconosce è la piccola Maren, figlia di Mikkel e Inger che possiede ancora uno sguardo ingenuo forse, ma senza pregiudizi. 

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