Saturday, 28 March 2020

L'altro volto della speranza

L'altro volto della speranza
(Finlandia 2017, di A.Kaurismaki)

L’ultimo film di Aki Kaurismäki, giunge dopo un altro capolavoro sul tema dell’accoglienza e dell’altro; Miracolo a Le Havre. Qui incontriamo Wikström, un uomo alle soglie della pensione, che lascia la moglie e decide di aprire un ristorante nella periferia di Helsinki. Nello stesso momento Khaled, giovane rifugiato siriano in fuga da Aleppo, chiede asilo politico al governo finlandese. Quando si vede negare l’accoglienza Khaled fugge e, incontrato per caso Wikström, inizia a lavorare nel ristorante come inserviente. Wikström, con l’aiuto dei tre originali dipendenti del locale, procura al ragazzo dei documenti falsi e cerca di aiutarlo a rintracciare la sorella di cui ha perso le tracce dopo la fuga dalla Siria.


Il giudizio che se ne può ricavare potrebbe sembrare cinico, disilluso, negativo; l’incontro tra Wikström e Khaled non si allinea con la politica di, oramai, quasi tutti i paesi europei nei confronti dell’immigrazione. Quello che sorprende qui è che l’incontro tra Wikström e Khaled crea una comunità, in un piccolo gruppo di persone, in una periferia di una lontana città del freddo nord, una piccola compagnia che accoglie senza dare giudizi, senza chiedere spiegazioni e che se ne frega di infrangere qualche legge che ritiene ingiusta. E non lo fanno perché sono “buoni” ma per ricordarci che è sempre possibile: “l’imprevisto è la sola speranza”. In questa società non regna il buonismo, tanto che ci sono solo e soprattutto quelli che non cambiano, non migliorano, non progrediscono; il neonazista che vuole vedere Khaled morto, il governo finlandese che ritiene Aleppo una zona sicura o comunque non così “bollente” da giustificare la concessione di un visto da rifugiato. Ma è proprio in una società così che possiamo ritrovare l’eccezione, l’anomalia che, nel suo piccolo, può fare la differenza. E la differenza la fanno, ancora una volta, gli ultimi. Non solo i rifugiati che scappano dall’inferno della guerra, ma anche il solito corollario di tipi umani che stanno ai margini della società. Musicisti di strada, camerieri, cuochi, edicolanti di bar e chioschi di periferia, portuali, camionisti, spazzini.
Questa storia, che tanto sembra una favola, ma può ancora accadere oggi, “in primo luogo, richiami a noi quell’umiltà che è la manifestazione dell’infinità dell’agape (o amore di Dio) che si abbassa sempre più. E l’infinità di questo amore è tanto più infinita quanto più in basso sta colui verso il quale si abbassa. A santa Teresina del bambino Gesù, in punto di morte, dissero: “Lei ha abbracciato sempre la virtù dell’umiltà”; rispose: “Sì: credo di non avere mai cercato altro che la verità”. Infatti, l’umiltà non è uno stato di vita che uno possa verificare in se stesso, ma è il fatto che la sola “verità” dell’amore di Dio (o dell’agape divina) ha penetrato le nostre persone. E si è tanto abbassato che è diventato un uomo, Gesù, con quel volto distrutto. Si è tanto abbassato che è giunto fino a me, fino a te, fino a noi.

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