Ci sono, si vedono e si fanno sentire. Ma il motivo per cui sono così tante al mondo si perde nell'omertà di un silenzio disciplinato. Sono le basi militari americane; più di 700 insediamenti per i quali il governo Obama ha stanziato oltre 680 miliardi di dollari, una cifra enorme che, spesa in altro modo, farebbe fronte alla crisi economica mondiale dell'età che viviamo. Ma come suggerisce il prezioso documentario di Thomas Fazi e Enrico Parenti, il controllo del traffico con l'estero si poggia proprio sull'installazione strategica, in continua espansione, delle basi statunitensi su territori dove il petrolio detta le regole di mercato. Mentre gli oleodotti si allungano e i civili protestano.
Dopo tre anni di ricerche sul campo, i due registi ci presentano uno scenario preoccupante che ha radici nella seconda guerra mondiale e ramificazioni nel complesso economico-militare statunitense odierno. Documentano tre casi emblematici dell'abuso di potere che ha permesso l'instaurarsi di un'egemonia assolutista, totalmente estranea alla pace o all'anti-belligeranza. La popolazione indigena dell'isola di Diego Garcia nell'Oceano Indiano, deportata alle Mauritius per lasciare spazio alla costruzione di una delle più importanti basi militari della Marina statunitense, conduce una massacrante battaglia legale per riavere le proprie terre. La piccola Okinawa convive con i 25.000 americani di Camp Hansen, addestrati a combattere e a dare sfogo alla propria aggressività (con la conseguenza di numerosi casi di stupri e risse violente), e convinti sostenitori della cultura del 'fast food', imposta in luoghi di tradizione gastronomica molto diversa. Esperienza meno gravosa ma ugualmente allarmante è quella di Vicenza, dove si sono avviati i lavori per la riqualifica dell'aeroporto "Tommaso dal Molin" come campo militare americano. Una scelta ampliamente contestata dagli abitanti della città veneta ma messa ugualmente in atto grazie all'appoggio politico nazionale. I manifestanti, più che determinati sostenitori della pace, di cui sembrano comprenderne l'utopia, si mostrano contrari alla guerra. Esprimono la rabbia contro un militarismo indiscriminato e snaturato della componente umana. Non usano mai la violenza e uno di loro lo dice chiaro: "Siamo la resistenza. Non siamo terroristi". Sono vittime di un sistema potentissimo che, nell'attesa dell'arrivo dei barbari (o di un nuovo motivo per iniziare una guerra), inganna non solo gli indigeni, ma anche gli stessi soldati pronti alla carriera militare. La campagna pubblicitaria per invogliare i giovani a partire per il campo a Diego Garcia sembra uno spot per villaggi vacanze. Ma a cosa vanno incontro questi diciottenni immaturi, spesso solamente abbagliati da un futuro di guadagni assicurati?
Grandi intellettuali e attivisti pacifisti (tra i quali spiccano Noam Chomsky, Gore Vidal, Chalmers Johnson) cercano la risposta a questa domanda. Come il documentario suggerisce, grazie ad uno stile sobrio e convincente (il montaggio è di Desideria Rayner, pluripremiata in passato per L'orchestra di Piazza Vittorio e Improvvisamente l'inverno scorso), la guerra non è mai la soluzione. E se il concetto ci sembra banale e troppo idealista, dobbiamo cominciare a preoccuparci perché vuol dire che abbiamo smesso di resistere.
Standing Army, directed by Enrico Parenti and Thomas Fazi, is a 2010 documentary film about the global network of U.S. military bases, the impact that these have on local populations, and the military-industrial complex that lies behind it.
The United States has 250,000 soldiers stationed on more than 700 military bases in at least 40 countries across the globe,.This deployment has continued to increase.
The film explores historical displacement of native populations, including Italy, on Diego Garcia (an Indian Ocean island) and the Middle East. The film posits that while the traditional definition of the term empire means possession of colonies, the foundation of an "American empire" is based on a worldwide network of military bases. While they used to serve as simple supply facilities in war-like conflicts, they are often formed in the aftermath of armed US interventions, raising the question if this is intentional strategy. The film presents various data and concludes with the theory of Chalmers Johnson, former CIA advisor, who believes this new type of imperialism contains a self-destructive recoil force that will lead to a medium-term decline and the ruin of the American position of power in the world.
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