Tuesday, 17 November 2015

Diario di un'insegnante #3

Care professoresse e cari professori di The Great Teachers,
Sono un insegnante delle scuole medie in Francia. Ma non sono di nazionalità francese. Oggi siamo tornati a scuola dopo gli attentati del 13 novembre che hanno fatto vittime anche tra i famigliari dei ragazzi. Insegno da poco tempo e moltissime sono le cose che devo ancora imparare. Ma una cosa ho avuto il dono di capirla osservando i ragazzi: sono confrontata ogni mattina al Mistero che questi giovani rappresentano per me (parola a cui metto una “M” maiuscola perché penso sia quello stesso Mistero che si avverte in tutti i veri incontri umani) e alla loro domanda profondissima di senso.
I ragazzi non la esprimono mai in questi termini, ma piuttosto con domande precise, dettagliate, concrete, che esigono una risposta che informi la realtà, che le dia forma, una realtà in cui si sentono inseriti e di cui esigono il senso. 

A volte, tra i più piccoli,  i ragazzi esprimono questo bisogno, parlandomi dei genitori (“La mamma non sta mai con me, va sempre a lavorare, perché non mi vuole bene”), altre volte parlandomi dei compagni ( e ogni affronto all’amicizia è per loro una cosa gravissima), altre  volte reagiscono in modo inasepettato ad alcuni argomenti trattati in corso ( qualche settimana fa con i più piccoli, studiavamo la tomba di Toutankhamon. Quando ho detto loro che sono state ritrovate, nella sala del tesoro, delle piccole barche di legno di manifattura perfetta di 1,50 metri di lunghezza che servivano per trasportare l’anima del faraone nell’aldilà, uno dei bambini mi ha chiesto: “Ma prof, allora loro lo sapevano quanto è alta un’anima!”)
Stamattina al mio arrivo a scuola, poche indicazioni erano state date agli insegnanti su cosa dire ai ragazzi e su come dirglelo. Avevamo ricevuto tuttalpiù dal ministero dell’educazione qualche nota tecnica riguardante alcune nozioni da spiegare, come stato di diritto, stato di emergenza, cellule psicologiche,  bandiere a mezz’asta, etc.. La direzione della scuola ci aveva poi fornito una lettera che diceva sbrigativamente il dolore e il lutto che noi tutti provavamo per le vittime e che era discrezione di ogni professore decidere se parlarne o no. Avavano poi appeso delle bandiere nere e proiettato delle immagini della solidarietà espressa in varie parti del mondo al popolo francese. Il ministero aveva chiesto pero’ di preparare i ragazzi al minuto di silenzio cosi alla prima ora, ho chiesto ai ragazzi se sapevano perché lo facevamo e se avevano voglia di parlarne. Oggi ho avuto lezione dalle 8 di mattina alle 12h e dalle 12h45 alle 17h30 e in ogni classe mi hanno chiesto di potere farmi delle domande e raccontarmi come hanno vissuto la sera di venerdí (e per alcuni ragazzi, la notte intera, perché erano allo stadio dove si è svolto l’attentato e per sfollare tutti ci è voluto tempo).
Cosí stasera, vi scrivo alcuni dei dialoghi che ho avuto con i ragazzi che mi sono scritta uscendo dai corsi:
-          «Prof, siamo in guerra?»
-          «Prof, non sarebbe meglio se si chiudessero per sempre le frontiere cosi non entra più nessuno?»
-         «Potrebbe essere una soluzione. Ma se le aveste chiuse quando questo tipo di violenza è cominciato, nel 2001, io, che sono straniera, non avrei mai potuto incontrarvi e mi sarebbe mancato un pezzetto della mia persona, perché voi fate parte della mia storia e sono molto contenta di avervi conosciuto.»
-          «A. E’ vero, sarebbe stato un peccato. Allora prof, non le chiudiamo le frontiere.»
-          «Prof, ma stanotte la Francia ha bombardato la Siria. Non è un po’ stupido? Cioé non è che poi loro si arrabbiano ancora di più e ci colpiscono di nuovo?»
-          «Prof, ieri pensavo che forse domani non ci sarò più e che la mia vita è appesa a un filo.»
-          «Si è vero. Però io so che quel filo è stretto nelle mani di qualcuno che ti ama molto.»
-          «A. Speriamo allora che questo qui ci stia attento al mio filo.»
-          «Nel minuto di silenzio, cercate di pensare a delle cose concrete, prima di tutto ringraziate per i vostri cari che sono al sicuro, poi pregate per le cose che avete visto alla tele e che non avete capito, come i feriti e i morti. E dite una preghiera anche per gli attentatori che forse erano persone senza degli amici che gli volessero bene e che non hanno avuto la fortuna di andare a scuola come voi e cosí non hanno potuto avere un’educazione.»
-          « A! Questo prof me lo aveva detto anche il papà, e io ho pensato che era diventato matto.»
-          «Prof ma sono tutti cattivi i Siberiani?»
-          « Forse vuoi dire i Siriani?»
-          «Be si, loro.»
-          «Adesso ragazzi riprendiamo il lavoro, perché questo è quello che è chiesto a noi in questo momento. Pensate che tra 20 anni sarete voi che dovrete spiegare queste cose ai ragazzi e ai bambini. Forse sarete professori, forse sarete medici, avvocati, ingenieri.»
-          « A no, io prof saró Presidente della Republica.»
Ce ne sono molti altri, che non sono riuscita a scrivere. Guardandoli e ascoltandoli capisco che ci sono cose che ripetono perché sentite in casa; ma ci sono domande originali e originanti che sono solo loro, che non vengono dal papà e dalla mamma, ma che sono state messe dentro di loro da un Mistero il cui volto, a scuola, vedo ogni mattino nei loro volti.

Vado, che domattina ho lezione.
Grazie a tutti e tutte voi.



Un’insegnante

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