Monday, 2 November 2015

Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica (GISCEL)

Le Dieci tesi trent'anni dopo. 
Le Dieci tesi in questa redazione sono un testo collettivo preparato dai soci del GISCEL nell'inverno e primavera del 1975 e definitivamente approvato in una riunione tenutasi alla Casa della Cultura di Roma il 26 aprile 1975. Con tale testo il GISCEL, un gruppo costituitosi nel 1973 nell'ambito della SLl, intende definire i presupposti teorici basilari e le linee d'intervento dell'educazione linguistica, proponendole all'attenzione degli studiosi e degli insegnanti italiani e di tutte le forze che, oggi, in Italia, lavorano per una scuola democratica.

I. La centralità del linguaggio verbale
II. Il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale
III. Pluralità e complessità delle capacità linguistiche
IV. I diritti linguistici nella Costituzione
V. Caratteri della pedagogia linguistica tradizionale
VI. Inefficacia della pedagogia linguistica tradizionale
VII. Limiti della pedagogia linguistica tradizionale
VIII. Principi dell’educazione linguistica democratica
IX. Per un nuovo curriculum per gli insegnanti
X. Conclusione

I. La centralità del linguaggio verbale

Il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale perché, grazie alla padronanza sia ricettiva (capacità di capire) sia produttiva di parole e fraseggio, possiamo intendere gli altri e farci intendere (usi comunicativi); ordinare e sottoporre ad analisi l'esperienza (usi euristici e cognitivi); intervenire a trasformare l'esperienza stessa (usi emotivi, argomentativi, ecc.).
Non si limita l'importanza del linguaggio verbale, ma lo si colloca meglio, sottolineando che in generale e negli esseri umani in specie esso è una delle forme assunte dalla capacità di comunicare, che si è variamente denominata capacità simbolica fondamentale o capacità semiologica (o semiotica). E, di nuovo sia in generale e in teoria sia nel concreto e specifico sviluppo degli organismi umani, il linguaggio verbale intrattiene rapporti assai stretti con le restanti capacità ed attività espressive e simboliche.

II. Il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale

Dati i molti legami con la vita individuale e sociale, è ovvio (ma forse non inutile) affermare che lo sviluppo delle capacità linguistiche affonda le sue radici nello sviluppo di tutt’intero l'essere umano, dall'età infantile all'età adulta, e cioè nelle possibilità di crescita psicomotoria e di socializzazione, nell'equilibrio dei rapporti affettivi, nell'accendersi e maturarsi di interessi intellettuali e di partecipazione alla vita di una cultura e comunità. E, prima ancora che da tutto ciò, lo sviluppo delle capacità linguistiche dipende da un buono sviluppo organico e, per dirla più chiaramente, da una buona alimentazione. Troppo spesso dimenticati, frutta, latte, zucchero, bistecche sono condizioni necessarie, anche se non sufficienti, di una buona maturazione delle capacità linguistiche.
Un bambino sradicato dall’ambiente nativo, che veda poco o niente genitori e fratelli maggiori, che sia proiettato in un atteggiamento ostile verso i compagni e la società, che sia poco e male nutrito, inevitabilmente parla, legge, scrive male. Per parafrasare Bertolt Brecht diremo: «Prima la bistecca e la frutta, e dopo Saussure e le tecnologie educative».

III. Pluralità e complessità delle capacità linguistiche

Come già abbiamo accennato (tesi I), il linguaggio verbale è fatto di molteplici capacità. Alcune, per dir così, si vedono e percepiscono bene: tali sono la capacità di produrre parole e frasi appropriate oralmente o per iscritto, la capacità di conversare, interrogare e rispondere esplicitamente, la capacità di leggere ad alla voce, di recitare a memoria, ecc. Altre si vedono e percepiscono meno evidentemente e facilmente: tali sono la capacità di dare un senso alle parole e alle frasi udite e lette, la capacità di verbalizzare e di analizzare interiormente in parole le varie situazioni, la capacità di ampliare il patrimonio linguistico già acquisito attraverso il rapporto produttivo o ricettivo con parole e con frasi soggettivamente o oggettivamente nuove.

IV. I diritti linguistici nella Costituzione

Una pedagogia linguistica efficace deve badare a tutto questo: cioè al rapporto tra sviluppo delle capacità linguistiche nel loro insieme (tesi llI) e sviluppo fisico, affettivo, sociale, intellettuale dell'individuo (tesi lI), in vista dell'importanza decisiva del linguaggio verbale (tesi I).
La pedagogia linguistica efficace è democratica (le due cose non sono necessariamente coincidenti) se e solo se accoglie e realizza i principi linguistici esposti in testi come, ad esempio, l'articolo 3 della Costituzione italiana, che riconosce l’eguaglianza di tutti i cittadini «senza distinzioni di lingua» e propone tale eguaglianza, rimuovendo gli ostacoli che vi si frappongono, come traguardo dell'azione della «Repubblica». E «Repubblica», come spiegano i giuristi, significa l’intero complesso degli organi centrali e periferici, legislativi, esecutivi e amministrativi dello Stato e degli enti pubblici. Rientra tra questi la scuola, che dalla Costituzione è chiamata dunque a individuare e perseguire i compiti di una educazione linguistica efficacemente democratica. Tali compiti, ripetiamolo, hanno come traguardo il rispetto e la tutela di tutte le varietà linguistiche (siano esse idiomi diversi o usi diversi dello stesso idioma) a patto che ai cittadini della Repubblica sia consentito non subire tali differenze come ghetti e gabbie di discriminazione, come ostacoli alla parità. Certamente, la scuola non è né deve essere lasciata o creduta sola dinanzi ai compiti accennati. La complessità dei legami biologici, psicologici, culturali, sociali del linguaggio verbale; i suoi legami con altre forme espressive degli esseri umani; la stessa sua intrinseca complessità, evidente alle moderne scienze semiologiche e linguistiche, i suoi legami con la variabilità spaziale, temporale, sociale dei patrimoni e delle capacità linguistiche: ecco altrettanti motivi che inducono a capire e chiedere che non sia soltanto la scuola, e sia pure una scuola profondamente rinnovata e socializzata, cellula viva del tessuto sociale, a proporsi problemi e scelte dell'educazione linguistica. Altri momenti e istituti di una società democratica sono chiamati al grande compito di garantire una attivazione paritaria delle capacità linguistiche di tutti. Pensiamo, specie in un paese di persistente cronico analfabetismo come l'Italia, alla fondamentale importanza dei centri di pubblica lettura, ai centri di recupero, promozione e rinnovata utilizzazione sociale delle tradizioni etnico-culturali, alla maturazione e diffusione di una nuova e diversa capacità di partecipazione sia ricettiva sia anche produttiva, autonoma, decentrata alla elaborazione dell'informazione di massa, oggi delegata in modo fiduciario, o più spesso inconsapevolmente abbandonata alla gestione dei potentati dell'informazione.
Uno sforzo coordinato e molteplice di tutte le istituzioni che attivano (o dovrebbero attivare) la vita culturale di massa, cioè la vita di massa sotto il profilo della cultura e dell'informazione, è la condizione per la piena attivazione delle capacità verbali.
Tuttavia, senza tralasciare l'importanza decisiva di lotte politiche e sindacali su singoli diversi settori, è dalla scuola che può venire una spinta di rinnovamento anche per altre istituzioni culturali di massa. Qui possono maturare esigenze collettive e capacità individuali di una nuova gestione democratica di tutta la rete delle istituzioni culturali.
Sia come terreno immediato e diretto, sia per l'influenza indiretta e mediata che può avere nel raggiungimento dei diritti linguistici sanciti dalla Costituzione, è sulla scuola che, in modo dominante, anche se non esclusivo, devono concentrarsi gli sforzi per avviare un diverso programma di sviluppo delle capacità linguistiche individuali, uno sviluppo rispettoso ma non succubo della varietà, secondo i traguardi indicati, ripetiamolo, dagli articoli 3 e 6 della Costituzione.

V. Caratteri della pedagogia linguistica tradizionale

La pedagogia linguistica tradizionale è rimasta assai al di sotto di questi traguardi. Qualcuno ha osservato che, spesso, vecchie pratiche pedagogiche in materia di educazione linguistica sono rimaste parecchi passi indietro perfino rispetto alle proposte dei programmi ministeriali, che, certo, non erano e non sono l'ideale dell'efficacia democratica.
La pedagogia linguistica tradizionale punta i suoi sforzi in queste direzioni: rapido apprendimento da parte dei più dotati di un soddisfacente grafismo e del possesso delle norme di ortografia italiana, produzione scritta anche scarsamente motivata (pensierini, temi), classificazione morfologica delle parti della frase (analisi grammaticale); apprendimento a memoria di paradigmi verbali, classificazione cosiddetta logica di parti della frase; capacità di verbalizzare oralmente e per iscritto apprezzamenti, di solito intuitivi, di testi letterari, solitamente assai tradizionali, su interventi correttivi, spesso privi di ogni fondamento metodico e di coerenza, volti a reprimere le deviazioni ortografiche e le (spesso assai presuntive) deviazioni di sintassi di stile e vocabolario.

VI. Inefficacia della pedagogia linguistica tradizionale

Della pedagogia linguistica tradizionale noi dobbiamo criticare fermamente anzi tutto l'inefficacia. Dal 1859 esiste in Italia una legge sull’istruzione obbligatoria, che, dal decennio giolittiano, ha cominciato a trovare realizzazione effettiva a livello delle primissime classi elementari. Masse enormi sono passate da sessanta, settant’anni attraverso queste classi. La pedagogia tradizionale ha saputo insegnare loro l'ortografia? No. Essa ha sì puntato sull'ortografia tutti i suoi sforzi. Ma ancora, oggi, in Italia, un cittadino su tre è in condizioni di semianalfabetismo. E non solo. L'ossessione degli «sbagli» di ortografia comincia dal primo trimestre della prima elementare e si prolunga (e questa è già un'implicita condanna di una didattica) per tutti gli anni di scuola. Ebbene: sbagli di ortografia si annidano perfino nella scrittura di persone colte. E non parliamo qui di lapsus freudiani o di occasionali distrazioni, ma di deviazioni radicate e sistematiche (qui con l’accento per esempio, o gli atroci dilemmi sulla grafia dei plurali di ciliegia e goccia ecc.).
Come non insegna bene l’ortografia, così la pedagogia tradizionale non insegna certo bene la produzione scritta. Cali un velo pietoso sulla maniera fumosa e poco decifrabile in cui sono scritti molti articoli di quotidiani. E non si creda che l’oscurità risponda sempre e soltanto a un'intenzione politica, all'intenzione di tagliar fuori dal dibattito i meno colti. Un'analisi di giornali di consigli di fabbrica mostra che in più d'uno il linguaggio non brilla davvero per chiarezza. E non sempre la limpidezza del vocabolario e della frase è caratteristica propria di tutti i comunicati delle confederazioni sindacali. Ora, è fuor di dubbio che gli operai e i sindacalisti non hanno alcun interesse a non essere capiti. L’oscurità, i periodi complicati sono il risultato della pedagogia linguistica tradizionale.
La pedagogia linguistica tradizionale, dunque, non realizza bene nemmeno gli scopi su cui punta e dice di puntare. In questo senso, essa è inefficace. Perfino se gli scopi restassero gli stessi, nelle scuole bisognerebbe comunque cambiare tipo di insegnamento.

VII. Limiti della pedagogia linguistica tradizionale

Ma gli scopi dell'educazione linguistica non possono restare più quelli tradizionali. La pedagogia linguistica tradizionale pecca non soltanto per inefficacia ma per la parzialità dei suoi scopi. Commisuriamo tali scopi alle tesi che abbiamo enunciato.

A) La pedagogia linguistica tradizionale pretende di operare settorialmente, nell'ora detta «di Italiano». Essa ignora la portata generale dei processi di maturazione linguistica (tesi I) e quindi la necessità di coinvolgere nei fini dello sviluppo delle capacità linguistiche non una, ma tutte le materie, non uno, ma tutti gli insegnanti (Educazione fisica, che è fondamentale, se è fatta sul serio, compresa). La pedagogia linguistica tradizionale bada soltanto alle capacità produttive, e per giunta scritte, e per giunta scarsamente motivate da necessità reali. Le capacità linguistiche ricettive sono ignorate, e con ciò è ignorata non tanto e solo la metà del linguaggio fatta di capacità di capire le parole lette e scritte, ma proprio quella metà che è condizione necessaria (anche se non sufficiente) per il funzionamento dell’altra metà: come il bambino impara prima a individuare le frasi, ad ascoltare e capire, e poi impara a produrre parole e frasi, così da adulti prima dobbiamo leggere e rileggere e udire e capire una parola, poi ci avventuriamo ad usarla. Ma la pedagogia linguistica tradizionale non fa alcun conto di ciò. Anzi, fa peggio. Molto spesso il bambino (e così l'adulto) controlla la bontà della ricezione col collaudo. Vi sono insegnanti che non si rendono conto di ciò e condannano le sperimentazioni con cui l'allievo controlla sue ricezioni parziali o sue ipotesi provvisorie sulla funzione e il valore di un elemento linguistico appena appreso.

B) La pedagogia tradizionale bada soltanto alla produzione scritta, non cura le capacità di produzione orale. Questa è messa a prova nel momento isolato e drammatico dell'«interrogazione», quando l'attenzione di chi parla e di chi ha domandato e ascolta è, nel migliore dei casi, concentrata sui contenuti dalla risposta e, nei casi peggiori, sulle astuzie reciproche per mascherare e, rispettivamente, smascherare quel che non si sa. La capacità di organizzare un discorso orale meditato o estemporaneo cade fuori dell'orizzonte abituale della pedagogia linguistica tradizionale. E fuori cade l’attenzione alle altre capacità (conversare, discutere, capire parole e forme nuove) elencate alla tesi III. Si aggiunga poi che la negligenza degli aspetti orali dell’espressione, nella prima fascia elementare, significa negligenza per i complicati rapporti, vari da una regione all'altra fra ortografia, pronuncia standard italiana e pronunzie regionali locali, ciò che ha riflessi certamente negativi sull'apprendimento dell'ortografia, cui pure la pedagogia tradizionale pare annettere tanta importanza.

C) Nella stessa produzione scritta, la pedagogia linguistica tradizionale tende a sviluppare la capacità di discorrere a lungo su un argomento, capacità che solo raramente è utile, e si trascurano altre e più utili capacità: prendere buoni appunti, schematizzare, sintetizzare, essere brevi, saper scegliere un tipo di vocabolario e fraseggio adatto ai destinatari reali dello scritto, rendendosi conto delle specifiche esigenze della redazione di un testo scritto in rapporto alle diverse esigenze di un testo orale di analogo contenuto (cioè, imparando a sapersi distaccare, quando occorre, da una verbalizzazione immediata, irriflessa, che più è ovviamente presente e familiare al ragazzo).

D) La pedagogia linguistica tradizionale si è largamente fondata sulla fiducia nell'utilità di insegnare analisi grammaticale e logica, paradigmi grammaticali e regole sintattiche. La riflessione scolastica tradizionale sui fatti linguistici si riduce a questi quattro punti.

Tra gli studiosi, i ricercatori e gli insegnanti che si sono occupati del problema dell'educazione linguistica esiste un pieno accordo nelle seguenti critiche all'insegnamento grammaticale tradizionale:

a) parzialità dell’insegnamento grammaticale tradizionale: se riflessione sui fatti linguistici deve esserci nella scuola, essa deve tener conto anche dei fenomeni del mutamento linguistico (storia della lingua), delle relazioni tra tale mutamento e le vicende storico-sociali (storia linguistica), dei fenomeni di collegamento tra le conoscenze e abitudini linguistiche e la stratificazione socioculturale ed economico-geografica della popolazione (sociologia del linguaggio), dei fenomeni di collegamento tra organizzazione del vocabolario, delle frasi, delle loro realizzazioni e organizzazione psicologica degli esseri umani (psicologia del linguaggio), dei fenomeni del senso e del significato, della strutturazione del vocabolario (semantica); ridotta a grammatica tradizionale la riflessione dei fatti linguistici esclude dunque tutta la complessa materia di studio e riflessione delle varie scienze del linguaggio;

b) inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale rispetto ai fini primari e fondamentali dell'educazione linguistica: se anche le grammatiche tradizionali fossero strumenti perfetti di conoscenza scientifica, il loro studio servirebbe allo sviluppo delle capacità linguistiche effettive soltanto assai poco, cioè solo per quel tanto che, tra i caratteri del linguaggio verbale c’è anche la capacità di parlare e riflettere su se stesso (cosiddetta riflessività delle lingue storico-naturali e/o autonimicità delle parole che le compongono); pensare che lo studio riflesso di una regola grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo è, più o meno, come pensare che chi meglio conosce l'anatomia delle gambe corre più svelto, chi sa meglio l'ottica vede più lontano, ecc.;

c) nocività dell'insegnamento grammaticale tradizionale: le grammatiche di tipo tradizionale sono fondate su teorie del funzionamento d'una lingua che sono antiquate e, più ancora che antiquate, largamente corrotte ed equivocate (un Aristotele assai mal capito); inoltre, per quanto riguarda specificamente le grammatiche della lingua italiana, a questo difetto generale va aggiunto (ed è necessario che tutti ne prendano coscienza), che, fra le infinite parti dei nostri beni culturali in rovina o sconosciuti, c'è anche questa: come non abbiamo un grande e civile dizionario storico della lingua (che valga I'Oxford inglese, il Grimm tedesco, il russo o spagnolo Dizionario dell'Accademia ecc.); così non abbiamo un grande e serio repertorio dei fenomeni linguistici e grammaticali dell’italiano (e dei dialetti): lavori in questo senso sono avviati, ma ci vorrà molto tempo prima che per l'italiano si disponga di una grammatica adeguata ai fatti; costretti a imparare paradigmi e regole grammaticali, oggi come oggi gli alunni delle nostre scuole imparano cose teoricamente sgangherate e fattualmente non adeguate o senz'altro false.

E) La pedagogia linguistica tradizionale trascura di fatto e, in parte, per programma, la realtà linguistica di partenza, spesso colloquiale e dialettale, degli allievi. La stessa legge del 1955 sull'adozione e la redazione dei libri per le elementari, porta alla produzione di testi unici su tutto il territorio nazionale. Senza saperlo, forse senza volerlo, l'educazione linguistica tradizionale ignora e reprime con ciò, trasforma in causa di svantaggio la diversità dialettale, culturale e sociale che caratterizza la grande massa dei lavoratori e della popolazione italiana.

F) Che vi sia infine un rapporto sotterraneo ma sicuro tra le capacità più propriamente verbali, e le altre capacità simboliche ed espressive, da quelle più intuitive e sensibili (danza, disegno, ritmo) a quelle più complesse (capacità di coordinamento e calcoli matematici), è, anche, ignorato dalla pedagogia linguistica tradizionale. Che buona parte degli errori di lettura e di ortografia dipendano da scarsa maturazione della capacità di coordinamento spaziale, e che essi dunque vadano curati, dopo attenta diagnosi, non insegnando norme ortografiche direttamente, ma insegnando a ballare, ad apparecchiare ordinatamente la tavola, ad allacciarsi le scarpe, queste sono ovvietà scientifiche sconosciute alla nostra tradizionale pedagogia linguistica, che è verbalistica, ossia ignora tutta la ricchezza e primaria importanza dei modi simbolici non verbali, e che, proprio perché verbalistica, sopravvalutandolo e isolandolo dal resto, danneggia lo sviluppo del linguaggio verbale.

In conclusione, rendiamo esplicito ciò che si annida al fondo della pedagogia linguistica tradizionale: la sua parzialità sociale e politica, la sua rispondenza ai fini politici e sociali complessivi della scuola di classe. Nella sua lacunosità e parzialità, nella sua inefficacia, l'educazione linguistica di vecchio stampo è, in realtà, funzionale in altro senso: in quanto è rivolta a integrare il processo di educazione linguistica degli allievi delle classi sociali più colte e agiate, i quali ricevono fuori della scuola, nelle famiglie e nella vita del loro ceto, quanto serve allo sviluppo delle loro capacità linguistiche. Essa ha svelato e svela tutta la sua parzialità e inefficacia soltanto nel momento in cui si confronta con l'esigenza degli allievi provenienti dalle classi popolari, operaie, contadine. A questi, l'educazione tradizionale ha dato una sommaria alfabetizzazione parziale (ancora oggi un cittadino su tre è in condizione di semi o totale analfabetismo), il senso della vergogna delle tradizioni linguistiche locali e colloquiali di cui essi sono portatori, la «paura di sbagliare», l'abitudine a tacere e a rispettare con deferenza chi parla senza farsi capire. Senza colpa soggettiva e senza possibilità di scelta, molti insegnanti, attenendosi alle pratiche della tradizionale pedagogia linguistica, si sono trovati costretti a farsi esecutori del progetto politico della perpetuazione e del consolidamento della divisione in classi vigente in Italia. Senza volerlo e saperlo, hanno concorso ad estromettere precocemente dalla scuola masse ingenti di cittadini (ancora oggi 3 su 10 ragazzi non terminano l'obbligo, e sono figli di lavoratori).

VIII. Principi dell’educazione linguistica democratica

Chi ha avuto pazienza di seguire fin qui l'esposizione, attraverso l'enunciazione delle tesi più generali (I-IV) e di quelle dedicate all’analisi e critica della pedagogia linguistica tradizionale (V-VII) ha già visto delinearsi sparsamente i tratti di una educazione linguistica democratica. Vogliamo ora qui coordinarli, secondo un'esigenza di interna coerenza e di più organica successione, formulando dieci principi su cui basare l'educazione linguistica nella scuola nuova che nasce, nella scuola democratica.
Lo sviluppo delle capacità verbali va promosso in stretto rapporto reciproco con una corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio con la maturazione ed estrinsecazione di tutte le capacità espressive e simboliche.
Lo sviluppo e l'esercizio delle capacità linguistiche non vanno mai proposti e perseguiti come fini a se stessi, ma come strumenti di più ricca partecipazione alla vita sociale e intellettuale: lo specifico addestramento delle capacità verbali va sempre motivato entro le attività di studio, ricerca, discussione, partecipazione, produzione individuale e di gruppo.
La sollecitazione delle capacità linguistiche deve partire dall’individuazione del retroterra linguistico-culturale personale, familiare, ambientale dell'allievo, non per fissarlo e inchiodarlo a questo retroterra, ma, al contrario, per arricchire il patrimonio linguistico dell'allievo attraverso aggiunte e ampliamenti che, per essere efficaci, devono essere studiatamente graduali.
La scoperta della diversità dei retroterra linguistici individuali tra gli allievi dello stesso gruppo è il punto di partenza di ripetute e sempre più approfondite esperienze ed esplorazioni della varietà spaziale e temporale, geografica, sociale, storica, che caratterizza il patrimonio linguistico dei componenti di una stessa società: imparare a capire e apprezzare tale varietà è il primo passo per imparare a viverci in mezzo senza esserne succubi e senza calpestarla.
Occorre sviluppare e tenere d'occhio non solo le capacità produttive, ma anche quelle ricettive, verificando il grado di comprensione di testi scritti o registrati e vagliando e stimolando la capacità di intendere un vocabolario sempre più esteso e una sempre più estesa varietà di tipi di frase.
Nelle capacità sia produttive sia ricettive va sviluppato l'aspetto sia orale sia scritto, stimolando il senso delle diverse esigenze di formulazione inerenti al testo scritto in rapporto all'orale, creando situazioni in cui serva passare da formulazioni orali a formulazioni scritte di uno stesso argomento per uno stesso pubblico e viceversa.
Per le capacità sia ricettive sia produttive, sia orali sia scritte, occorre sviluppare e stimolare la capacità di passaggio dalle formulazioni più accentuatamente locali, colloquiali, immediate, informali, a quelle più generalmente usate, più meditate, riflesse e formali.
Seguendo la regola precedente, si incontra la necessità di addestrare alla conoscenza e all'uso di modi istituzionalizzati d'uso della lingua comune (linguaggio giuridico, linguaggi letterari e poetici ecc.).
Nella cornice complessiva delle varie capacità linguistiche, occorre curare e sviluppare in particolare, fin dalle prime esperienze scolari, la capacità, inerente al linguaggio verbale, di autodefinirsi e autodichiararsi e analizzarsi. Questa cura e questo sviluppo possono cominciare a realizzarsi fin dalle prime classi elementari arricchendo progressivamente le parti di vocabolario più specificamente destinate a parlare dei fatti linguistici, e innestando così in ciò, nelle scuole postelementari lo studio della realtà linguistica circostante, dei meccanismi della lingua e dei dialetti, del funzionamento del linguaggio verbale, del divenire storico delle lingue, sempre con particolare riferimento agli idiomi più largamente noti in Italia e insegnati nella scuola italiana.
In ogni caso e modo occorre sviluppare il senso della funzionalità di ogni possibile tipo di forme linguistiche note e ignote. La vecchia pedagogia linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: «Devi dire sempre e solo così. Il resto è errore». La nuova educazione linguistica (più ardua) dice: «Puoi dire così, e anche così e anche questo che pare errore o stranezza può dirsi e si dice; e questo è il risultato che ottieni nel dire così o così». La vecchia didattica linguistica era dittatoriale. Ma la nuova non è affatto anarchica: ha una regola fondamentale e una bussola; e la bussola è la funzionalità comunicativa di un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole destinare, ciò che implica il contemporaneo e parimenti adeguato rispetto sia per le parlate locali, di raggio più modesto, sia per le parlate di più larga circolazione.

IX. Per un nuovo curriculum per gli insegnanti

La nuova educazione linguistica non è davvero facilona o pigra. Essa, assai più della vecchia, richiede attenzioni e conoscenze sia negli alunni sia negli insegnanti. Questi ultimi in particolare, in vecchie prospettive in cui si trattava di controllare soltanto il grado di imitazione e di capacità ripetitiva di certe norme e regole cristallizzate, potevano contentarsi di una conoscenza sommaria di tali norme (regole ortografiche, regole del libro di grammatica usato dai ragazzi) e di molto (e sempre prezioso) buon senso, che riscattava tanti difetti delle metodologie. Non c'è dubbio che seguire i principi dell'educazione linguistica democratica comporta un salto di qualità e quantità in fatto di conoscenze sul linguaggio e sull'educazione. In una prospettiva futura e ottimale che preveda la formazione di insegnanti attraverso un curriculum universitario e postuniversitario adeguato alle esigenze di una società democratica, nel bagaglio dei futuri docenti dovranno entrare competenze finora considerate riservate agli specialisti e staccate l'una dall'altra. Si tratterà allora di integrare nella loro complessiva formazione competenze sul linguaggio e le lingue (di ordine teorico, sociologico, psicologico e storico) e competenze sui processi educativi e le tecniche didattiche. L'obiettivo ultimo, per questa parte, è quello di dare agli insegnanti una consapevolezza critica e creativa delle esigenze che la vita scolastica pone e degli strumenti con cui a esse rispondere.

X. Conclusione

Il salto di qualità e quantità delle conoscenze di scienze linguistiche richiesto agli insegnanti è impensabile senza l'organizzazione di adeguati centri locali e regionali di formazione e informazione linguistica e educativa che correggano nell'ideologia e nei particolari gli errori commessi nelle esperienze formative postuniversitarie realizzate dal Ministero dell’istruzione e correggano anche la lacunosità, povertà, casualità e parzialità dell'ordinamento (se così si può chiamare) universitario in fatto di insegnamento delle scienze del linguaggio. Siamo dunque dinanzi a un problema amministrativo e civile, a un problema politico.
Da qualunque parte si consideri l'insieme di questioni, soluzioni e proposte che abbiamo delineato, sempre, in ultima analisi, ci si imbatte nella necessità di connettere il discorso a una diversa impostazione dei bilanci dello Stato e delle scuole, a un diverso orientamento della vita sociale tutta. Da anni si verifica l'esattezza della tesi di Gramsci: «Ogni volta che affiora in un modo o nell'altro la questione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare nazionale». Perciò queste analisi e proposte acquistano senso soltanto se maturate in rapporto a forze sociali interessate a gestire la scuola secondo obiettivi democratici, a «riorganizzare l'egemonia», a «stabilire rapporti più intimi e sicuri tra gruppi dirigenti e massa».

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