“Ci sei mai stato al cinema?”
“Una volta, dieci anni fa, quando abbiamo bruciato il cinema Rivoli”
Said (Kais Nashef) vive a Nablus, incalzato da un passato da cui vuole riscattarsi e dall’idea di avere al più presto un Paradiso con cui sostituire l’inferno quotidiano.
Condivide quest’attesa con l’amico Khaled (Ali Suleiman), vivendo alla giornata in una città schiacciata dalle montagne e dall’occupazione israeliana.
Entrambi hanno una fede assoluta, incrollabile, che li sostiene fino a quando la loro attesa finisce.
E’ così che si entra nel vivo del film e nelle ultime 24 ore della vita di due kamikaze.
Un racconto minuzioso, quasi ossessivo nella sua banalità di dettagli e dialoghi: dall’ultima cena in famiglia cui partecipa sempre un membro dell’organizzazione che vigila su eventuali ripensamenti, alla registrazione del filmato che farà da testamento morale e ideologico dopo il martirio.
Il testamento dei due amici andrà così ad arricchire la schiera di videocassette dei kamikaze palestinesi, accanto a quelle delle esecuzioni dei collaborazionisti. Si possono noleggiare o anche comprare, ma le seconde costano di più.
Quello che sembra un gesto estremo e incomprensibile finisce per apparire oltre la telecamera che continua ad incepparsi durante la registrazione del messaggio da lasciare ai famigliari, di una quotidianità disarmante. Costretto a ripetere più volte il suo testamento di martire, Khaled decide di abbandonare la composta retorica del discorso scritto sul foglio e, consigliare alla madre un posto dove comprare i filtri per l’acqua ad un prezzo più basso.
Il kamikaze non è più né un mostro né un martire, ma semplicemente un essere umano.
Oltre alla telecamera che riprende il testamento qualcos’altro s’inceppa e va storto.
Un imprevisto costringerà i due amici a ripensare alla loro scelta, messa in crisi oltre che dal caso anche da Suha (Lubna Azabal), figlia di un martire della resistenza palestinese, eppure volontaria di un’associazione pacifista, convinta che il presente e la vita hanno più valore di qualunque morte.
Khaled vede nelle parole di Suha un futuro diverso dal Paradiso di cui gli hanno parlato, quello dei martiri che sono accompagnati in cielo da due angeli.
Ma per Said il peso del passato ha più forza del presente.
“Il martirio ci porterà in Paradiso”
“Il Paradiso non esiste, è solo nella tua testa”
“Meglio un Paradiso nella testa che l’Inferno di quaggiù”
Prima del negativo, vi è un avvertimento di un positivo che interviene nella vita dell’uomo. Il grido che ne nasce è la richiesta di aiuto. In una condizione in cui non ha avuto che dolore, in cui non abbia mai visto un bene, un po’ di luce, non ci domanderebbe nulla. Se invece nell’uomo c’è questa domanda allora c’è un positivo. Davanti a questo c’è una doppia reazione dell’uomo, che i nostri personaggi attraversano; o mi ribello, maledico tutto e divento violento con tutti, continuando a maledire il destino e distruggendo me stesso; oppure abbraccio questo destino, puntando tutto sulla memoria di bene che c’è.
PARADISE NOW
Palestina, 2005, drammatico
di Hany Abu-Assad, con Kais Nashif e Ali Suliman
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