Qualcosa di concreto, di umano deve incontrarci, per farci arrivare a Dio, al mistero che fonda tutto, perchè il nostro cuore, desiderio di felicità, inizia a trovare la sua risposta e a camminare verso la sua pienezza nel concreto.
Questa è la storia di un paesino di un’isola in cui abita un popolo che vive ancora di agricoltura, pastorizia e pesca. Questo popolo vive isolato dal resto del mondo, è pieno di errori, di disordine e anche il prete stesso non resiste più a vivere in questo modo e se ne va, tornando sulla terraferma. E’ un personaggio negativo della storia (tratta da una storia vera). Dopo la partenza del prete, la gente rimane senza Messa, senza confessioni e sacramenti, senza nemmeno qualcuno per avere un consiglio: sembra che sia finito tutti e, quasi, che Dio abbia dimenticato questo luogo.
Però “Dio ha bisogno degli uomini”; la gente sente di aver bisogno di un riferimento ultimo e anche se si aggrappa a realtà sbagliate, cerca questo rapporto con l’infinito. La gente sente che, venendo a mancare il loro punto di unità e riferimento, vorrebbe provare a riprenderlo, attraverso la liturgia, tramite il sagrestano. Egli è un ragazzo, un giovane del paese che, però, era il più “esperto in materia”; pur essendo ignorante come il resto della popolazione, aveva sentito parole in latino che gli altri non avevano sentito. E’ la naturalità del sacro, un bisogno naturale che concretamente l’uomo sente di un rapporto con il Mistero, che non può avvenire, essendo noi uomini, se non per mediazione, nel concreto, attraverso un uomo.
Ci sono alcuni episodi importanti nel film; ad esempio quando il sagrestano torna sulla terraferma per cercare di convincere il prete e non riuscendoci, cerca almeno di avere da lui l’acqua santa, ma gli rifiuta anche questa. Tornato all’isola, alla chiesetta diroccata del paese, lamenta di non avere l’acqua santa e improvvisamente l’acqua comincia a piovere dal tetto nell’acquasantiera vuota: c’è acqua più benedetta di quella che ha fatto Dio? Questo fatto lo rianima e prende coraggio.
Piano piano cambia tutta la sua vita; cambia il rapporto con la sua fidanzata, deve accettare responsabilità anche se istintivamente non la vorrebbe; deve anche accettare di confessare e celebrare la messa, ma solo per rispondere a un bisogno di dolore e di confronto della gente. Oppure, quando celebra il funerale di un uomo che aveva ucciso la madre, preso dalla disperazione, poi si era tolto la vita. La chiesa ufficiale non ammette i suicidi e il prete, tornato al paese con la polizia e arrogante del suo potere, si rifiuta di rendere le esequie di quest’uomo. Il sagrestano allora prende l’iniziativa e fa il funerale e poi, alla conclusione invita tutti, “adesso tutti a messa!”; è un gesto per recuperare tutti, per accettare e abbracciare tutti (proprio tutti, “anche lei”, la donna che aveva fatto la spia).
Nel film si vedono ben chiare le due posizioni; quella di chi vuole salvare il suo popolo dalla malvagità e dal formalismo e quello che invece rimane nell’ottusità del potere (il prete).
Il momento più importante è quando il sagrestano cerca di guidare il popolo a cantare il Credo e si sofferma sulla frase “et homus factus est”; si è fatto uomo, come noi. Il divino si è fatto compagno all’umano. Nella realtà di questo popolo si avverte la coscienza di una appartenenza a qualcosa di più grande, ma con la loro identità. Il passo compiuto da Dio nella storia, con Gesù Cristo, ha reso vere le cose umane, avendole vissute, e non cancellabili.
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