Francia 1959, di F.Truffaut
con J.P.Léaud, A.Remy, C.Maurier
F.Truffaut in questo film è personale, autobiografico, ma ami impudico. Niente che tradisca esibizionismo; ma anche la prigione è bella, ma di un'altra bellezza: bella come Alain Bombard (l'autore di "Naufrago volontario" che nel 1952 lasciò volontariamente andare alla deriva la sua imbarcazione, l'héretique) che prende di peso la sua cinepresa per filmare in mezzo all'Atlantico il proprio viso gonfio e coperto di barba. Ma Truffaut ha la forza di non parlare mai direttamente di se stesso, ma di dedicarsi parzialmente ad un altro ragazzino, che gli assomiglia forse come un fratello, ma un fratello oggettivo, e di sottomettersi a lui, e ricostruire umilmente, a partire da un'esperienza personale, una realtà ugualmente oggettiva, che filma in seguito con il rispetto più assoluto.
I Quattrocento colpi (che nello slang dei giovani francesi significava "fa casino"!) segna il momento di incomprensione che Antoine vive rispetto alla società e alla sua famiglia; isolato nella scuola dalla disciplina dei maestri e in famiglia dall'indifferenza della madre e del patrigno, resta come unico sfogo il rapporto spensierato ed euforico con l'amico di gioventù. Sullo sfondo di una Parigi piccolo-borghese, si aprono gli spiragli sul problema dell'adolescenza in generale, delineando i veri drammi del "diventare grande". Dal duro scontro con le istituzioni famigliari, quello ancora più disastroso con le leggi della società; il nuovo modo di guadagnarsi la vita, lasciando gli studi, come lui imprecava, per Antoine sarà il riformatorio.
Il rifiuto è totale, il mondo adulto non si cura di chi si sottrae alle regole: Antoine è colpevolmente abbandonato a se stesso, in balia dei propri sentimenti contrastanti, è un ribelle che non sa nemmeno indirizzare le proprie forze eversive.
Unica possibilità di fuggire è nella solitudine e nella sofferenza, la fuga di Antoine in Normandia, sulla lunga spiaggia durante la bassa marea, alla ricerca di spazi liberi e selvaggi.
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