Saturday 29 March 2014

V.Andreoli - Lettera a un insegnante (part 4)

…Se ti sembrerà che qualche mia considerazione sia estranea alla scuola, ti prego di scusarmi e di capire il mio intendimento e la spinta a scriverti che è il dolore, il dolore dei tuoi allievi: tu li devi aiutare a vivere, non escluderli e dichiararli inadatti a crescere, che è un invito a morire. E molti giovani lo seguono o vivono come se fossero già morti. 
È una storia che forse non vuoi conoscere, ma che io constato ogni giorno, e vorrei, poiché anch’io sogno, che non si ripetesse più; e la scuola ha una grande funzione e tu, proprio tu, puoi cancellarla quella storia. 
Questo è l’unico potere che mi appassiona: quello che aiuta a vivere tutti e in particolare chi è più debole e soffre, e sono certo che tu non pensi che giovinezza sia da coniugare con spensieratezza e serenità, e tanto meno con felicità. Semmai mi viene da legarla alla sofferenza, anche se talora è mascherata da eroi del nulla. Se vuoi capire la violenza, lo dico sempre, devi prima sapere cos’è la paura. I ragazzi che hai davanti la conoscono bene, anche se talvolta ti fanno e fanno paura.

Ecco su chi svolgi la tua professione, e non dimenticartene mai, quando classifichi, e se ancora hai il coraggio di farlo, quando giudichi. Limitati piuttosto a seminare e fallo in maniera corretta, coinvolgendo persino il seme e la terra in cui è stato piantato.
Mi fanno ridere le classificazioni: il superdotato, l’asino, quello dalla mano sempre alzata, il «potrebbe fare di più», il ragazzo del sei meno meno, quello dell’otto più, l’incompreso, lo stratega…
Il disperso: la sua assenza non dovrebbe farti più dormire e dovrebbe attivare in tutti noi la colpa, come se la scuola avesse «ucciso» un adolescente, un bambino, anche se lo ha fatto senza sporcarsi le mani: i delitti perfetti della scuola. Alle pareti di ogni istituto e forse anche su quelle della tua classe si dovrebbe attaccare qualche croce perché lì è morto, è stato assassinato uno che veniva semplicemente per essere compreso e per imparare a vivere.
Non è la demagogia del pianto, la mia, ma la testimonianza del dolore che io vedo e tu, caro insegnante, forse nemmeno immagini. 
Questa è la forza che mi permette in questa lettera di parlarti di scuola, di scuola mancata, perché commetta meno errori, perché serva a vivere e non a decorare di zimbelli e addobbare magari chi è già pieno di ninnoli. 
Una scuola dove falliscono più facilmente i deboli, mentre i forti, i figli dei potenti, riescono sempre a uscirne intatti, anche se vuoti poiché vanno avanti mercanteggiando dignità, come sempre fa il potere. La scuola del potere, dentro e vicino alla miseria. La scuola retta solo dai potenti per generare impotenti.
Ricordati delle croci e dei dispersi, e insegna a tutti che ogni fallimento scolastico e ogni fuga dalla scuola è una sconfitta che sa di omicidio e se la causa è la famiglia, interrogati se non era possibile coinvolgerla in un progetto di educazione del proprio figlio, magari tentando di educare i suoi genitori, che hanno fatto figli ma non sono mai diventati madre e padre. Troppo spesso a una famiglia che sa di morte si aggiunge una scuola che manda a morte, aggiungendo morte a morte. La scuola deve insegnare a vivere, a vivere meglio, a promuovere alleanze tra compagni per un aiuto comune a imparare e a vivere e non per fare della classe un campo di guerra, una corsa a sgambetti per una classifica della stupidità...

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