Assassinio nella cattedrale (nell'originale in lingua inglese: Murder in the Cathedral) è un dramma teatrale poetico scritto da T. S. Eliot.
È ispirato ad un fatto realmente accaduto: l'assassinio dell'Arcivescovo Thomas Becket avvenuto nel 1170 nella Cattedrale di Canterbury. Eliot si basò molto, per stendere la sua opera, nel 1935, sugli scritti di Edward Grim, testimone oculare dell'evento.
Il dramma - che ha forti connotazioni di opposizione ai sistemi di regime autoritario - fu scritto nell'epoca in cui il fascismo cominciava a prendere campo nell'Europa centrale. In questa luce, è stato visto come critica al regime nazista, specie in chiave di sovversione rispetto agli ideali della chiesa cattolica.
Nel 1930 Eliot si era convertito al cattolicesimo (come testimonia l’opera Wednesday Ash – Il mercoledì delle ceneri”)
Parte del materiale originale del dramma fu da Eliot rimosso su richiesta dell'editore e trasformato in un poema a sé stante, intitolato Burnt Norton.
La prima rappresentazione dell'opera teatrale andò in scena nel luogo in cui avvennero realmente i fatti narrati: la Cattedrale di Canterbury...
L’opera
Il contesto della contrapposizione fra potere civile e potere spirituale è stato posto dalla critica come piano essenziale di lettura del dramma teatrale. Il particolare, l’evento storico che segna il dissidio tra Enrico II e il suo Cancelliere, il suo amico Thomas Becket è da riferirsi all’ingerenze tra Re e il rappresentante del Papa in Inghilterra circa la nomina dei Vescovi (i Vescovi-conti); Enrico II infatti per assicurarsi la presenza di persone di fiducia nelle contee, che si opponessero allo strabordante potere dei Baroni, aveva imposto al suo Cancelliere e da lui fatto nominare Arcivescovo di Canterbury, un elenco di persone di fiducia da nominare vescovo. Becket, dopo aver inizialmente assecondato il volere del re, vi si oppone, scomunicando i Vescovi; dopo 7 anni di esilio in Francia ritorna in Inghilterra cambiato e pienamente cosciente del suo ruolo di guida della Chiesa e sicuro del suo totale e unico riferimento al Papa.
L'azione del dramma si sviluppa tra il 2 dicembre e il 29 dicembre 1170, registrando cronologicamente gli eventi dei giorni che portarono al martirio di Thomas Becket. L'opera teatrale è divisa in due parti separate da un interludio.
PARTE PRIMA
La prima parte è ambientata nella sala dell'arcivescovo ed ha inizio il 2 dicembre 1170. Si apre con un coro cantante premonitore di eventi violenti. L’apertura è affidata al coro che svolge, sullo stile del coro del teatro greco antico, un ruolo chiave all'interno del dramma, e muta durante lo svolgimento del dramma, in maniera tale da sottolinearne e giuntarne le differenti fasi (più simile al coro delle rappresentazioni medievali).
Qui il coro, le donne di Canterbury irrompono a spiegare il dramma, preannunciando gli eventi che stanno per accadere:
“Ci sovrasta qualche malanno. Noi attendiamo, attendiamo,
E i santi e i martiri attendono, per coloro ce saranno martiri e santi.
Il destino attende nella mano di Dio, formando l’ancora informe:
Io queste cose le ho viste in un dardo di luce di sole.
Il destino attende nella mano di Dio, non nelle mani degli uomini di stato…
(…)
Per noi, le povere, non vi è l’azione,
Ma solo l’attendere e il testimoniare.”
Tre sacerdoti irrompono in scena riflettendo sull'assenza di Becket e sul pericolo derivante dalla crescita del potere temporale della monarchia mentre un araldo annuncia l'arrivo di Becket. Il Coro tenta invano di convincere Becket a ripiegare su Dover e ritornare in Francia, al sicuro:
“Per la piccola gente trascinata nella trama del destino
per la piccola gente che vive tra piccole cose,
Lo sforzo sul cervello della piccola gente che affronta
La condanna della casa, la condanna del suo signore, la
Condanna del mondo?”
O Tommaso Arcivescovo, lasciaci, lasciaci, la scia la tetra Dover, e fa’ vela per la Francia. Tommaso nostro Arcivescovo sempre nostro arcivescovo anche in Francia…”
Arriva nel frattempo Tommaso e di tutta risposta ai sacerdoti e alle donne del coro, svolge a sua volta una riflessione sul martirio al quale sa di andare incontro, che accetta con fatale rassegnazione.
“Voi sapete e non sapete, che cosa sia l‘agire o il soffrire.
Voi sapete e non sapete che l’agire è soffrire,
E il soffrire azione. Né colui che agisce soffre
Né il paziente fa. Ma sono entrambi fissi
In un’eterna azione, in un’eterna pazienza
Alla quale tutti debbono consenti e perché sia voluta
E che tutti debbono soffrire per poterla volere,
Onde sussista la trama, e la ruota possa volgersi e pure
Stare per sempre immota”
Che cosa significano questi versi?
Sulla scena fanno quindi la loro comparsa i tentatori, figure demoniache che rammentano quelle che tentarono il Cristo (come le Tentazioni stesse di Cristo nel deserto, fino alla tentazione più grande “allontana da me questo calice”), pronti a lasciargli suggerimenti su come resistere al potere del re e salvarsi, sia pure dalla gloria del martirio.
Il Primo Tentatore rappresenta l’amore del piacere; “il meglio è nemico del bene”.
Perché rinunciare a una vita di piaceri e di tranquillità? Se fosse sceso a patti con il re tutto sarebbe finito come meglio potrebbe.
Tommaso è tentato ma facilmente risponde:
“L’impossibile è ancora tentazione.
L’impossibile, l’indesiderabile,
Voci nel sonno, che svegliano un mondo morto,
sì che la mente non sia tutta nel presente”
Il Secondo Tentatore rappresenta l’ambizione del potere; “il potere posseduto diventa gloria”; Becket era Cancelliere, aveva in re in pugno, ma la sua coscienza lo porta ora altrove.
“No! Debbo io, che tengo le chiavi
del cielo e dell’inferno, solo supremo in Inghilterra,
che lego e sciolgo, con il potere del Papa,
abbassarmi a desiderare un potere più meschino?
Delegato a lanciar la condanna della dannazione
Condannare i re, non servire fra i loro servitori,
è mio caro ufficio. No! Andate
(…)
Coloro che pongono fede nell’ordine mondano
Non regolato dall’ordine di Dio,
In ignorante fiducia, non fanno che fissare il disordine,
Renderlo stabile, nutrire malanno fatale,
degradare ciò che esaltano. Potere con il re…
Io fui il re, il suo braccio, la sua miglior ragione.
Ma ciò che già fu esaltazione ora sarebbe soltanto un misero declino”
Il Terzo Tentatore gli propone di schierarsi con l’altro potere e di assecondare le richieste dei baroni;
“Una falsa amicizia può diventare vera
Ma troncata una volta, la vera amicizia non si può più rammendare
È più facile che l’inimicizia si faccia alleanza.
L’inimicizia che non conobbe mai amicizia
Può ritrovare un accordo più facilmente””
Le tre tentazioni (tutte materiali) vengono superate da Thomas Becket grazie alla sua fede incrollabile e alla coscienza di una giustizia superiore, ma con il Quarto Tentatore, viene messa in discussione la sua vocazione ed è questo il pericolo più grave.
Il Quarto Tentatore gli propone sì il desiderio di martirio, ma per orgoglio di vocazione e non per accettazione della volontà divina su di lui (quindi come sacrificio, prova e non con la presunzione di potere avere la possibilità di divenire “santo” adorato da tutti)
“Avanti fino alla fine.
Per voi son chiuse tutte l’altre vie
Tranne la via già scelta.
Ma che è il piacere, il governo regale,
o il comando di uomini inferiori al re,
con astuzia negli angoli, e furtivi stratagemmi,
in confronto al dominio universale del potere spirituale?”
(…)
“quale terreno orgoglio, che non sia povertà
a paragone della ricchezza della celeste grandezza?
Cercate la via del martirio, fatevi il più basso
In terra, per essere alto in cielo.”
I quattro Tentatori “tirano le conclusioni” sulla contraddittorietà della vita umana e iniziano una dissertazione con i Sacerdoti (alla quale partecipano anche le donne del coro).
L'atto chiude sulla risposta di diniego di Becket il quale sa ormai quale sia la strada da percorrere.
“L’ultima tentazione è il più grande tradimento:
Compiere la retta azione per uno scopo sbagliato.”
Thomas Becket è consapevole del rischio di seguire sì Dio, ma per una bella idea!
“Io infatti sono persuaso che ne’ morte ne’ vita, ne’ angeli, ne’ principati, ne’ presente ne’ avvenire, ne’ potenze, ne’ altezzem ne’ profondità, ne’ alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8, 38-39)
INTERMEZZO
L'interludio è costituito da un sermone dell'arcivescovo tenuto la mattina di Natale dell'anno 1170. È un discorso erudito sul valore spirituale di questo giorno, di gioia e tristezza insieme che la cristianità dedica ai suoi martiri. Ripropone, quindi, attraverso il gesto scenico, le considerazioni di Becket riguardo il martirio. In fine di sermone, annuncia ai fedeli, con parole di fatalità, che entro breve tempo essi potrebbero averne uno in più da ricordare.
“Dunque egli diede la pace ai suoi discepoli, ma non la pace come la dà il mondo”
“Un martirio cristiano non è un caso. I Santi non sono fatti a caso. Ancor meno è un martirio cristiano l’effetto della volontà di un uomo di diventar santo, come un uomo volendo e tramando può diventare un reggitore di uomini. Un martirio è fatto sempre dal disegno di Dio, per il suo amore per gli uomini, per ammonirli e per guidarli, per riportarli sulle Sue vie. Un martirio non è mai un disegno d’uomo; poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di Dio, che ha perduto la sua volontà nella volontà di Dio e che non desidera più nulla per se stesso, neppure la gioia del martirio. Così dunque come la Chiesa insieme piange e gioisce in un modo che il mondo non può capire; così in cielo i Santi sono molto in alto, essendosi molto abbassati, vedendo se stessi non come li vediamo, ma nella luce della divinità, dalla quale traggono il loro essere.”
PARTE SECONDA
La seconda parte del dramma ha luogo sia nella sala dell'arcivescovo che nella cattedrale. È il 29 dicembre 1170. L'atto è maggiormente realistico, rispetto al primo, riguardo dettagli e parte dialogata e può essere visto come un dramma di stile moderno.
Quattro cavalieri giungono con informazioni urgenti da parte del re. I cavalieri hanno udito il re esprimere il suo disappunto rispetto a Becket, interpretando tale disappunto come un ordine per ucciderlo. Lo accusano di tradimento, ma egli si dichiara la sua lealtà aggiungendo di accusarlo pubblicamente.
“Se questo è il comando del re, sarò ardito.
E dirò; per sette anni il mio popolo fu privato
Della mia presenza; sette anni di miseria e di pena.
Per sette anni, mendicando la carità straniera,
mi trascinai all’estero: sette anni non sono brevi.
Non li riavrò di nuovo quei sette anni.
Mai più, non dovete avere dubbio alcuno,
Mai più il mare fra il pastore e il suo gregge.”
Becket ha accettato la volontà di Dio su di Lui, il suo compito, non la sua pretesa, fino in fondo.
“Pace, e sia pace nei vostri pensieri e nelle vostre visioni.
Queste cose dovevano accadervi e voi dovete accettarle.
Questa è la vostra parte dell’eterno fardello,
Della perpetua gloria. È solo un momento,
Ma sappiate che un altro
Vi trafiggerà con subita gioia penosa
Quando la figura del disegno di Dio sarà compiuta”.
Il richiamo alla preghiera di Charles de Foucauld è espressione dell’accettazione della sua volontà nella quale “è nostra pace”. E nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile e senza dolore.
Becket viene sottratto alla furia dei cavalieri dai sacerdoti che gli suggeriscono di fuggire e mettersi in salvo. Becket rifiuta.
Alla partenza dei cavalieri, Becket ribadisce di essere isposto a morire. Il coro accompagna con il suo mesto canto la scena, preannunciando il tragico finale.
I sacerdoti cercano di persuadere Tommaso a desistere dall’esporsi ai cavalieri, di barricarsi nella Cattedrale, ma è irremovibile:
“La mia decisione è presa fuori del tempo
Se chiamate decisione ciò
al quel tutto il mio essere dona pieno consenso.
Io do la mia vita
Per la Legge di Dio sopra la Legge dell’Uomo”.
Becket è nella cattedrale, quando i cavalieri fanno la loro irruzione, uccidendolo.
Il dramma si chiude in maniera moderna con i dialoghi (e lunghi monologhi) espressi dai cavalieri che, giustificando la loro azione, spiegano come l'uccisione fu giusta e dettata dalla necessità di impedire alla Chiesa di minare la stabilità del potere dello Stato.
I Sacerdoti rimangono soli, la Chiesa orbata della sua guida.
“Il loro mondo senza Dio. Lo vedo, lo vedo.”
E’ la notte più buia, la notte della paura e del sacrificio, nella quale ci si può solo, di nuovo, affidare a lui.
La scelta di Becket è ora spiegata (anziché dai meschini pretesti dei cavalieri) dall’immedesimazione in Lui che ha voluto compiere la volontà del Padre, fino in fondo, senza pretesa di gloria. Non è perfezione moralistica, perché senza il dubbio, senza la crisi, la vocazione di Thomas Becket sarebbe stata un atto di “amor proprio” nella certezza della beatificazione in terra. È la nostra azione, come ci insegna Becket, e soprattutto la domanda a Dio che chiede di cambiare prospettiva, “ripulire” la coscienza, non guardare più al sacrificio (sacrum facere) con gli occhi del mondo, e in vista del mondo, ma in funzione della santità.
I soli moventi delle sue opere drammatiche sono problemi di natura spirituale ed etica; il bene e il male, la ricerca de e l’accettazione del proprio destino, della propria vocazione, cioè, in ultima analisi della propria realtà e verità.
L’essersi trovato il problema spirituale già pronto e relativamente semplice (una vocazione di martirio che per il solo fatto di essere vocazione invece che accettazione, è un peccato d’orgoglio da vincere), la destinazione stessa, quasi di sacra rappresentazione , hanno contribuito a dare a questa prima opera una linearità e una chiarezza di poesia che ne fanno una delle più teatrabili, se non delle più teatrali, fra le opere drammatiche di Eliot.
Radice spirituale; l’abisso di chi è consapevole dell’orrore che, sotto la superficie monotona, sta al fondo della vita, da chi non ne è consapevole. Questa distinzione tra colpevolezza e incolpevolezza dveva divenire tema costante delle sue opere drammatiche.
Il soggetto dell’opera è sacro, inevitabilmente, se si considera la posizione religiosa di Eliot (Mercoledì delle Ceneri, datato 1930 segna la sua conversione all’anglo-cattolicesimo).
No comments:
Post a Comment