"Il richiamo della fraternità
non è confinato in una razza,
in una classe, in una élite,
in una nazione.
Viene da coloro che, ovunque siano,
lo sentono in se stessi,
e si indirizza a tutti e a ciascuno.
Ovunque in tutte le classi,
in tutte le nazioni,
ci sono degli esseri di "buona volontà"
per i quali il suo messaggio
è il loro messaggio.
Forse sono più numerosi fra gli inquieti,
i curiosi, gli aperti,
i teneri, i meticci, i bastardi,
e altri incroci."
Con queste parole Edgar Morin apre il suo saggio "educare gli educatori", una lunga intervista di alcuni anni fa, nata in seguito al clima di diffidenza e di "paura" nato dopo le Torri Gemelle.
"Politica di civilizzazione", "riforma del pensiero", "democrazia cognitiva", "fraternità", "antropo-etica" sono solo alcuni dei concetti su cui Morin si sofferma e che costituiscono le idee-faro, capaci di illuminare un sentiero alternativo a quello cui l'umanità si trova incamminata. Sono piccole luci, scintille, "isole di resistenza" che però possono scatenare immensi incendi e arrestare l'avanzata delle barbarie.
Sono, come egli stesso afferma, semi che vanno sparsi, "disseminati". "Non si può che seminare, non si può che fare come gli alberi che lasciano che il vento porti i semi", sostiene ad un certo punto; ed è questo il lavoro cui ogni educatore si deve sentire chiamato.
E continua: "... Bisogna disseminare e trovare luoghi di radicamento di ciò che oggi non può essere considerato che devianza".
Questo pensiero "deviante" è forse oggi la sola speranza per gli uomini, che fonda la salvezza nella perdizione, la solidarietà nella deriva, la speranza nella crisi, l'eticanell'uomo.
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