Tuesday, 26 October 2010

W la libertà!

Perdonate la lunghezza di questo POST ma mi sono trovata in seria difficoltà nel dover apporre dei tagli a questo interessantissimo discorso che Romano Guardini ha pronunciato davanti a migliaia di studenti dell'università di Monaco, il 12 luglio 1958, in commemorazione di alcuni studenti, riconosciuti come appartenenti al gruppo della Weisse Rose (la Rosa Bianca), giovani che per la loro libertà hanno dato la vita. Più che un discorso politico ci richiama a quello che è il vero senso dell'essere universitari, impegnati nel mondo, decisi a fare del loro luogo di studio un luogo di speranza di realizzazione (n.d.r in questo "secolo buio" dell'università italiana)



"Viva la libertà" - Monaco, 12 luglio 1958

Signore e signori!

Celebriamo oggi il completamento dei lavori dell'atrio della nostra università. Quest'atrio non è semplicemente il locale ampio e spazioso in cui si incontrano docenti e discenti. È qualcosa di più. È un luogo che suscita gravi pensieri; perché qui, come il Magnifico Rettore ci ha prima ricordato, si è consumato un evento che quindici anni fa ha segnato con una tragica svolta la vita di sette appartenenti a questa università - il professor Kurt Huber, gli studenti Sophie e Hans Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf e Hans Carl Leipelt.

Lassù, dal parapetto del primo piano, Sophie e Hans Scholl hanno lanciato i loro appelli: l'ultima espressione della lotta per la libertà condotta dal loro gruppo di amici. Sapevano che al loro gesto doveva seguire la cattura. E questo, infatti, fu ciò che accadde, e la fine per tutti loro fu la morte. Un piccolo evento tra innumerevoli altri in quegli anni, che hanno avvolto la Germania in una profonda oscurità, quando sembrava non aver più valore né il diritto, né la verità, né la libertà.

Per questo la celebrazione del completamento dei lavori di questo atrio ha trovato il suo senso più profondo nell'inaugurazione del monumento dedicato a coloro che hanno testimoniato con la loro vita quell'aspirazione alla libertà, che rendeva ai loro occhi l'esistenza degna di essere vissuta. Ma quell'aspirazione alla libertà costituisce anche il fondamento di tutto ciò per cui la nostra università deve esistere, fino a che essa vuole essere degna del proprio nome.

II

Dal racconto della sorella abbiamo appreso che le ultime parole pronunciate da Hans Scholl prima di morire sono state: «VIVA LA LIBERTÀ!». Per lui queste parole contenevano il senso e la giustificazione del suo agire per noi sono un testamento, e dobbiamo riflettere su che cosa esse significano.

Quelle parole sono state dette in un'epoca di oppressione e oscurità, un'oppressione e un'oscurità di cui le persone che oggi sono più giovani - devo aggiungere: in Germania Occidentale - non hanno la minima idea. Molte persone più avanti con gli anni hanno però dimenticato tutto questo, altrimenti alcune cose andrebbero diversamente. In quelle parole veniva affermato il diritto a qualche cosa che costituisce il fondamento dell'intera esistenza europea: il diritto alla libertà - ma alla libertà di tutti; così che la libertà dell'uno trova la propria misura nella libertà dell'altro.

«Libertà» significa che l'uomo ha la possibilità di formarsi le proprie convinzioni, di esprimerle e di vivere in modo conforme ad esse; significa la garanzia dell'inviolabilità della propria casa; significa il diritto a scegliersi il lavoro e la professione seguendo la propria volontà; ad acquisire una proprietà e ad averne tutelato il possesso.

Questi sono i diritti elementari dell'uomo; così evidenti per un giovane che oggi raggiunge la maggiore età, che solo a fatica egli riuscirebbe a concepire una realtà diversa. Queste sono le libertà che sono state realizzate dal corso dell'intera storia europea, fino al momento in cui questa storia esaltò se stessa, al di là di ogni limite, nell'idea dell'autonomia e - conseguenza intrinseca questa, su cui si sorvola volentieri - si rovesciò nella schiavitù della dittatura.

Contro questa schiavitù sono insorte le sette persone di cui oggi celebriamo la memoria. Essi hanno affermato il diritto dell'uomo alla libertà e lo hanno testimoniato con la loro vita.

III

Dobbiamo però spingere più a fondo la nostra riflessione sulla libertà, perché raramente una parola è stata usata in modo peggiore ed è stata corrotta più a fondo.

In qualsiasi modo si voglia definire l'essenza della libertà, in ogni caso essa esprime la realtà di fatto - una realtà che si presenta come evidente all'esperienza interiore benché il pensiero non possa risolverla ulteriormente - che l'uomo non è soltanto un trasformatore di energie, ma è initium, inizio; che l'uomo ha iniziativa, nel senso che ha, al proprio interno, un'originaria forza di «iniziare»; e che per questo deve rispondere di ciò che fa in quel modo specifico che è la responsabilità. Con questo l'uomo trascende tutte le modalità con cui nelle altre realtà naturali l'energia diventa attiva. Egli è persona; ma ciò è qualcosa di grande e gravido di destino. Voi conoscete le parole, con cui il coro nella prima scena dell'Antigone esprime il brivido esistenziale di fronte a questa grandezza: «Molte cose nel mondo ispirano sgomento; ma nulla più dell'uomo».

Una tale forma di esistenza è impossibile per un essere che si risolve completamente nell'ambito della natura. Questa possibilità è data però all'uomo, perché egli è in relazione con qualche cosa che supera l'ambito della natura, qualche cosa che mette l'uomo nelle mani dell'uomo stesso vincolandolo alla norma etica: Dio. Dio si fa strada nella consapevolezza dell'uomo; questa realtà, che è inseparabilmente legata alla libertà e che, come la libertà, non può essere affatto dissolta sul piano psicologico o su qualche altro piano, noi la chiamiamo coscienza. Non c'è nessuna libertà senza coscienza - tanto meno può esserci coscienza, responsabilità morale in un essere che non è libero.

Solo chi sa di essere vincolato dalla verità, ha delle opinioni proprie e delle parole proprie. Solo chi rispetta l'inviolabilità della sfera personale altrui, ha diritto all'inviolabilità della propria. Solo chi vede nel lavoro e nella professione non soltanto un mezzo per guadagnare denaro, ma il modo in cui compiere la propria opera responsabilmente nei confronti del tutto, può scegliere la propria strada in modo giusto.

Solo chi acquisisce rettamente la proprietà e riconosce quella degli altri, ha diritto ad essa. In una parola: soltanto colui che, come ha detto Kierkegaard, sta ritto in se stesso, ma davanti a Dio, può esistere come persona.

Se queste condizioni non sono soddisfatte, la libertà diventa arbitrio. Ma l'arbitrio è già in se stesso schiavitù - il fatto poi che si trasformi in schiavitù anche sul piano esteriore, sul piano storico, su quello politico, dipende solo dalle circostanze.

Non appena scompare dalla consapevolezza questo «essere di fronte a», la libertà caratteristica della persona non scompare in quanto tale, perché appartiene alla sua essenza, è la sua nobiltà e il suo destino, che la persona lo voglia oppure no; ma si trova in pericolo. E allora ciò di cui parla Sofocle, quel qualcosa nell'uomo che crea «sgomento», smarrisce ogni freno e norma, e gli ultimi decenni hanno mostrato ciò di cui diviene poi capace. L 'uomo finisce per perdere la fede nella sua aspirazione alla libertà, perde la capacità di affermare questa aspirazione sotto la pressione dell'istinto, dell'utilità e del potere e allora egli è, di dentro, maturo per la dittatura.

Sappiamo abbastanza di coloro che oggi ricordiamo per poter dire che essi hanno inteso la libertà in questo senso. Hanno incarnato l'ethos della libertà in una generosità e in un coraggio, capaci di persuadere la mente e di toccare il cuore. Certo, si può obiettare che sono stati degli idealisti e che avevano sopravvalutato la disponibilità al rischio che caratterizza la media delle persone. Si può obiettare che a loro è mancato il senso freddo della realtà così come la sicurezza della tecnica rivoluzionaria.

Ma forse proprio da questa mancanza viene la tragica purezza della loro apparizione. Non hanno avuto alcun successo; la loro impresa è presto naufragata contro i freddi meccanismi di un potere privo di scrupoli. E così non sono neppure caduti in tutti quegli intrecci di menzogna e di ingiustizia, in cui col tempo finisce per decadere ogni attività rivoluzionaria.

La loro vita risuona come il canto di un'umanità nobile; e io posso solo consigliare a Voi, cari studenti, di leggere il libro che Inge Aicher-Scholl ha scritto col titolo «La Rosa Bianca» - così si chiamavano i volantini del gruppo. Sentirete di che cosa è fatta un'esistenza segnata, per usare un'espressione di Nicolai Hartmann, dai valori dello straordinario.

Noi li onoriamo perché erano fatti così e così agivano, e riteniamo giusto che questo tributo di onore trovi la sua espressione nel monumento che oggi viene inaugurato.

IV

Ma, ancora una volta, proviamo a scendere più in profondità - e non tanto nell'interiorità dei singoli, quanto in quella della storia.

C'è qualcosa che si potrebbe definire come una profezia storica. In questa profezia parlano uomini che avvertono le correnti profonde del grande movimento della storia e vedono la direzione in cui esse vanno. Può succedere così che questi uomini, ad un dato momento, quando tutti quanti si sentono tranquilli e sicuri nella condizione dominante, debbano annunciare la dissoluzione di questa condizione, e il farsi avanti di una nuova forma di esistenza che preme dal grembo della storia. Pensiamo alle parole di Jakob Burckhardt; o a quelle più turbolente del suo collega di allora all'università di Basilea, Friedrich Nietzsche.

Al tempo in cui vivevano, l'ordine moderno razionalistico-borghese della vita sembrava prosperare sotto ogni punto di vista e il futuro sembrava sicuro. Ma essi videro che quell'epoca andava verso la fine e che una nuova epoca si preparava, anche se essi descrivevano in modo diverso e la decadenza e le forze emergenti.

Quella era una profezia esplicita; ma c'è anche, io credo, una profezia nascosta; nascosta non solo a chi la ascolta, che non capisce ciò che viene detto, ma anche a chi la pronuncia. Egli annuncia delle cose e compie delle azioni che contengono più di quanto egli stesso sia consapevole. Così è stato per le parole che Hans Scholl ha pronunciato prima di morire. Quelle parole sono state qualche cosa di più della semplice protesta di un cuore grande contro la violenza che regnava in Germania.

Nel suo significato più profondo, di cui egli stesso non era ancora consapevole, quel grido di libertà si dirigeva non solo contro un sistema che viveva di ossessioni di potenza e di visioni deliranti, ma contro una minaccia assai più forte che già da lungo tempo si faceva strada. Ciò che avveniva allora sul piano politico, era la prima forma di espressione di ciò che si preparava su un piano più profondo della storia. Oggi noi lo vediamo - voglio essere più prudente: lo vedono coloro che vogliono vedere. È il pericolo di un asservimento, che proviene dall'opera stessa dell'uomo negli ultimi secoli.

Le azioni dell'uomo si sono sempre ripercosse sull'uomo stesso. Possedere è sempre stato un essere posseduto, esercitare-il-potere un subire-il-potere. Tuttavia, fino ancora alla metà circa del secolo scorso, il rapporto tra libertà e dipendenza si è mantenuto in una proporzione che oggi giudichiamo assai felice. Questa proporzione si è modificata successivamente, e in modo senz'altro essenziale.

Il potere dell'uomo sulla natura si è concentrato in oggetti da lui prodotti che hanno una forza mai vista; li chiamiamo macchine. A seconda della loro funzione e della loro specifica fabbricazione stanno l'una in rapporto all'altra in un grande sistema di interdipendenze; questo è ciò che chiamiamo «tecnica».

Essa si fonda su una ricerca scientifica in continua crescita e su di una organizzazione socio-economica che attraversa sia la vita dello Stato che quella del popolo: questa è ciò che chiamiamo la «società moderna». È tipico di questa società il fenomeno dell'opinione pubblica, ossia dell'opinione che non si forma spontaneamente dalla vita delle persone o dei gruppi, ma viene guidata dalla stampa, dal servizio d'informazioni, dalla radio, dalla televisione; attraverso iniziative, programmi, rappresentanze di interessi dei tipi più diversi. Parallelamente a questa il fenomeno del traffico, in ferrovia, nave, aereo, automobile, raccoglie tutto ciò che riguarda l'organizzazione, la propaganda, e tutto il resto.

Tutte queste attività, strutture e prodotti creano un ambiente che condiziona l'uomo stesso. Non solo per il fatto che esige da lui le prestazioni corrispondenti, ma anche perché lo porta ad un atteggiamento spirituale che si esprime in criteri che stabiliscono ciò che è degno della vita e in ordinamenti dei valori.

Nasce così un «tutto» che incide in ogni sfera della realtà: sorge una nuova «forma del mondo», e ciò significa anche una nuova «forma dell'uomo». Che si tratti davvero di questo, lo si vede in un momento, difficile da definire, in cui si lascia riconoscere il segno più caratteristico di una nuova epoca e il fattore forse più forte della sua autorealizzazione, ossia un suo proprio stile.

Ciò che Hegel ha definito come «cultura in senso oggettivo», considerandola come qualche cosa di divino in cui l'uomo trova la sua realizzazione, si è ora concentrato in modo preoccupante e si è reso autonomo. È sfuggito all'iniziativa dell'uomo, sviluppandosi progressivamente e in modo sempre più decisivo secondo una logica oggettiva di problemi, di scoperte, di costruzioni, che non va nella stessa direzione della logica della libertà e della dinamica vitale dell'uomo.

Ora si fa avanti, con allarmante consequenzialità, qualcosa che è stato presente come possibilità fin dall'inizio in ciò che chiamiamo «opera dell'uomo», «dominio della natura», «cultura» nel senso più ampio, qualcosa che però per lungo tempo veniva riequilibrato nella totalità dell'esistenza. E questo qualcosa cerca ora di instaurare una nuova legge dell'esistenza, che afferma: l'uomo non è libero, ma sottostà alle necessità dell'apparato creato da lui stesso. Deve conformarsi alle esigenze di questo apparato. La sua struttura personale deve adattarsi a queste. Deve perfino farsi comprendere dalle apparecchiature che sono state concepite dalla razionalità e fabbricate dalla tecnica, come sembra rivelare il fenomeno della cibernetica.

Si forma così un nuovo concetto, che esprime ciò che è assolutamente proibito e che comprende ogni tentativo della personalità di far valere la propria essenza, la propria volontà, la propria esperienza vitale, in quanto distrugge le funzioni, ossia il dominio stesso dell'apparato: il concetto di sabotaggio.

Di questa mancanza di libertà l'ordinamento statale totalitario costituisce l'espressione più evidente. Non possiamo farci però delle illusioni: anche quelle forme di vita, che per loro essenza si fondano sulla libertà, minacciano sempre più di essere caratterizzate dall'appiattimento della personalità. Diciamolo con uno slogan: c'è un totalitarismo che viene dall'alto, ma anche un totalitarismo che viene dal di dentro.

Chi guarda attentamente, scopre nella vita delle democrazie, così apparentemente libera, i sintomi più preoccupanti di una coercizione indiretta che si esercita attraverso l'apparato della cultura tecnologica. Si potrebbero citare, a questo proposito, fenomeni più ampi quali l'azione uniformatrice dei metodi tecnici, l'ethos della formazione dei gruppi, lo sviluppo della burocrazia, l'influsso dell'opinione pubblica, e così via, ma voglio richiamare soltanto un singolo aspetto, che mi pare però particolarmente illuminante: la manipolazione, studiata scientificamente, dell'inconscio dell'uomo da parte dell'economia.

L'economia studia i modi in cui gli stimoli della pubblicità, apparentemente inavvertiti, vengono interiorizzati nelle motivazioni dell'individuo e sviluppa i risultati di queste ricerche in una tecnica di influssi costanti, non avvertiti dallo stesso interessato. Chi è in grado di comprendere la natura di questi sintomi, sa che cosa sta accadendo.

V

È tempo allora - prima che sia troppo tardi - di comprendere il senso nascosto di quel grido profetico e di proclamare la lotta per la libertà anche su questo fronte.

Questa lotta non è fatta di azioni esteriori, dal momento che il nemico proviene dall'interno dell'uomo, di quell'uomo contemporaneo che noi tutti siamo. Certo anche le misure esteriori sono importanti: la regolamentazione dell'orario di lavoro, la tutela giuridica della sfera personale, la possibilità di educazione e di formazione spirituale, e così via. Ma i veri cambiamenti possono accadere soltanto a partire dall'interiorità, e non sarà cosa di poco conto il realizzarli - non sarà facile riconoscere che qui si gioca il destino dell'uomo: se egli resta signore delle proprie opere, oppure il loro funzionario.

L 'uomo, dunque, deve situarsi in se stesso. Deve crearsi lo spazio della riservatezza personale e deve preservarlo dall'invadenza della sfera pubblica. Deve tornare a riconoscere come sacri i legami umani originari e li deve custodire. Deve essere deciso a non sottostare a ciò che «si» fa, a ciò che «si» deve avere e vedere. Deve costruire dentro di sé una barriera contro i flutti dei condizionamenti sociali che giungono attraverso la pubblicità, le notizie, la radio, e tutto il resto. E - cosa da non dimenticare - deve liberare la propria vita spirituale da quel narcotico con cui addormentano la loro coscienza tutti coloro, che non vogliono analizzare a fondo nessun problema con lo spirito di una corretta critica culturale: la fede nel progresso universale.

Vorrei, signore e signori, che quanto ho detto non fosse interpretato male. La mia non voleva essere una esortazione moralistica, né, tanto meno, volevo indulgere a un qualche genere di romanticismo. L' epoca dell'individualismo è finita e non la si può far risorgere artificialmente.

Siamo nell'epoca dei rapporti sovraindividuali ed in questi rapporti dobbiamo compiere la nostra opera. È un compito grande e degno di essere realizzato. In esso ne va - come ho già detto - di una forma del mondo, niente di meno; le energie che sono all'opera si fanno sentire in modo colposo. Ma è una differenza quella che decide tutto: o l'uomo viene trasformato da queste energie in un semplice elemento della macchina, o si radica nel suo proprio centro e crea l'ambito vitale che gli è proprio.

In questo compito è bene però richiamare l'attenzione su di una difficoltà presente. Credo infatti che nel corso dello sviluppo dell'età moderna con l'uomo si è fatto strada qualcosa di specifico. Questo sviluppo è culminato nella rivendicazione dell'autonomia, cioè nella rivendicazione di un radicale autodominio dell'uomo nel campo del pensiero, dell'agire e del creare, una rivendicazione che è giunta fino a quelle forme esaltate che si trovano rappresentate ne L'unico e la sua proprietà di Max Stirner, o nella «libertà disperata» dell'esistenzialismo.

Quella rivendicazione era falsa alla radice, perché l'uomo non è autonomo. Lo sforzo, durato così a lungo, di realizzare quell'autonomia deve aver però provocato nell'uomo qualcosa, senza cui gli eventi degli ultimi tre decenni non si possono comprendere: in quello sforzo l'uomo deve essersi esaurito così a lungo e così in profondità, fino al proprio intimo, al punto che questo esaurimento è divenuto un fattore determinante della storia.

L'uomo, dopo la fine dell'epoca moderna, ha subìto un collasso esistenziale. L' effetto di questo collasso fu, sul piano oggettivo, la dittatura; sul piano soggettivo, invece, il desiderio di essere sollevato dalla propria responsabilità, cioè di essere schiacciato dalla dittatura, diretta o indiretta che sia.

Per questo il grido «VIVA LA LIBERTA!>, assume oggi un nuovo significato. Diviene l'espressione di una minaccia più profonda di quella di allora. Ascoltare quell'appello e seguirlo significa essere pronti ad un'impresa difficile.

VI

Si potrebbe però dubitare se abbia senso avanzare sfide di questa portata. Nel nostro paese, spezzato a metà dai blocchi politici delle potenze, si riceve speso un'impressione inquietante: come se l'uomo tedesco - più precisamente, tedesco-occidentale - fosse in procinto di adattarsi ad una esistenza senza storia.

Ci sono certo motivi che sembrano giustificarlo. Primo fra tutti, il tentativo mostruoso, che sta alle nostre spalle, non solo di creare storia, ma di conquistarla con la violenza: l'ultima guerra. La guerra è stata sostenuta da un agire privo di un autentico legame con il passato; privo di senso del possibile; privo di tutto ciò che i Greci chiamavano «timore davanti agli Dèi». Si è giunti così a un crollo dell'esistenza storica, mai sperimentato prima in Germania nonostante la Guerra dei Trent'anni - tanto più tragico, se si tien conto che, in sé, vi erano le premesse per un'azione capace di dar forma all'avvenire, capace di creare per l'Europa e in Europa il terreno di una storia futura.

La fatica di questa guerra ha provocato una profonda spossatezza spirituale, che nessun attivismo può mascherare. Questa spossatezza si lega con quell'altro radicale esaurimento, di cui abbiamo parlato prima, e fa sì che l'uomo si allontani dalla storia e si ritiri nella realtà extra-storica: la cultura, la tecnica, la ricerca del denaro e dei piaceri della vita. Una sorta di autoinganno, come se non fosse accaduto ciò che invece è accaduto; come se si potesse, in uno spazio lasciato in bianco, produrre il «miracolo» della ricostruzione e dell'economia e di altre cose ancora, senza che la verità si prenda la sua rivincita.

Forse Voi potreste obbiettare, che tanto è stato detto e tanto è stato scritto; che i politici si scagliano gli uni contro gli altri con passioni - o almeno con parole - così forti; che gli scienziati, i rappresentanti di gruppi e di organizzazioni levano alti richiami di ammonimento, di protesta, di accusa. E tutto questo sarebbe un comportamento antistorico?

Non voglio certo dubitare dell'onestà che si manifesta in talune di queste espressioni. Ma ciò di cui qui propriamente si tratta sta ad un livello più profondo. Un comportamento che fosse adeguato alla storia, nel senso qui inteso, comincerebbe con lo sforzo di comprendere la situazione in cui ci troviamo. Facciamo questo sforzo? Cerchiamo di vedere come si sia giunti a questa situazione? Quali azioni, quali omissioni, quali principi abbiano condotto ad essa? Abbiamo davvero intenzione di riconoscere come abbia potuto avvenire tutto ciò che è accaduto? Tutte le cose tremende, di cui i recenti avvenimenti hanno rivelato la realtà così intollerabile?

L 'impressione è che si voglia eludere questa domanda. O che chi fa questa domanda riceva sempre la stessa risposta: «Lascia perdere! Vogliamo vivere, lavorare e goderci la vita!». Non è così?

Ben poco è lo spazio lasciato ad un'iniziativa storica attiva. Se non vogliamo scivolare fuori dalla storia, dobbiamo almeno impegnarci ad analizzare ciò che accade con rettitudine e coraggio. Da questa analisi il futuro uscirà più puro e più giusto.

Ciò a cui siamo chiamati in ogni caso, nel ristagno della storia che ci è imposto, è anzitutto la riflessione sulle grandi questioni che sopra abbiamo posto: la forma del mondo che vuole nascere è imponente. Di questa realtà abbiamo solo un presentimento. Al momento se ne intravedono soltanto singole linee di fondo, qui e lì un profilo, talvolta un nesso.

La realizzazione di questa nuova forma del mondo costerà non soltanto un lavoro incalcolabile, ma anche grandi sacrifici, e questo è normale. Ma un sacrificio non può richiederlo, se non vuole cessare di essere una forma «umana» del mondo: il sacrificio della libertà.

Come devono allora essere delineate le grandi forme sovraindividuali del lavoro e della vita, affinché la vita propria della persona possa persistere e svilupparsi? E possa farlo non solo «in modo appena sufficiente», ma in modo significativo, in modo che essa possa essere l'opposto polare, esplicitamente riconosciuto, della realtà sovrapersonale? La forma del futuro dovrà fondarsi su di un approfondimento e riordinamento dell'esistenza della nazione - e dietro ad essa dell'Europa - concepita come un tutto. E come si presenta, a differenza del totalitarismo meccanico del sistema materialistico che nega la persona, quell'ordinamento che riconosce la persona come irrinunciabile polarità della totalità? Qui sta l'autentica dialettica vivente che non è costruita artificiosamente, ma che è fondata nell'esistenza stessa.

Qual è l'atteggiamento in cui questa dialettica si esprime? Quale ethos si origina da essa? Come dovranno essere le singole forme della vita, che da lei scaturiscono? E così via.

Se c'è un luogo, signore e signori, in cui si può riflettere su questi problemi e in cui le istanze che sorgono da essi possono essere accolte nella cultura, questo luogo è l'università.

L'onore che tributiamo a questi uomini che hanno dato la loro vita per la libertà, resterà un semplice gesto, se non tentiamo di capire dove si gioca per noi l'istanza di un'eguale libertà, e se non siamo pronti a portarla a compimento.

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