«Allegra e soddisfatta, la banda se ne tornò lentamente in paese,
facendo mille progetti, e pronta a ogni furto domestico, a ogni più rude
lavoro, a ogni più totale sacrificio. Avrebbero tradotto in pratica il
loro desiderio: da questo atto, fatto da loro e per loro, nasceva la
loro personalità. Così avrebbero avuto una casa, un palazzo, una
fortezza, un tempio, un pantheon, ove sarebbero stati padroni, ove
genitori maestro curato (i grandi ostacolatori di ogni bel progetto) non
avrebbero ficcato il naso…»
(L.Pergaud, La guerra dei bottoni, Einaudi ragazzi)
Nella campagna francese c’è una guerra in corso, mitica e civile: la
guerra tra i ragazzi di Longeverne e quelli di Velrans. Si combatte ai
margini del bosco, alla fine della scuola, per motivi ormai dimenticati,
dai tempi dei tempi. Scorribande, attacchi a sorpresa, agguati,
rappresaglie, strategie militari: i ragazzi, con coraggio e dedizione,
ogni giorno si sporcano, cadono, corrono per la gloria del loro piccolo
paese. Non ci sono prigionieri ma malcapitati a cui si rubano, come
trofeo di guerra tutti i bottoni, e gli sfortunati ritornano a casa in
mutande, rassegnati nell’attesa della punizione familiare, molto spesso
più violenta della battaglia appena finita. A trovare l’ingegnosa
soluzione è il capo Lebrac, poco attento a scuola ma in prima linea
negli scontri: si combatterà nudi. Niente bottoni ma solo il proprio
corpo come scudo e come arma. La natura si fa scenario per gesta
eroiche, urla, chiasso e pelle.
Maestro di scuola, Pergaud scrive il suo romanzo nel 1912 e ci regala
uno spaccato vitale dell’infanzia francese di allora, raccontandoci
quasi le prove per una guerra, e ben altre sconfitte, che di lì a poco insanguineranno l'Europa. Morto proprio in battaglia, l’autore descrive un mondo
lontano, esaltando un’epicità da tempi antichi, che ha radici nel vigore
delle popolazioni barbariche. Solo i più giovani sembrano ancora in
grado di recuperare, senza saperlo, quel passato, e di rimetterlo in
scena rilanciandolo nel futuro. La guerra che si combatte è eticamente
giusta, da una parte e dall’altra ogni ragazzo svolge con passione e
determinatezza il proprio compito, a volte da vincitore a volte da
vinto, impara a combattere, a perdonare, a rimanere in piedi. La
foresta, scenario delle scorribande, è spazio indiscusso per entrare in
rapporto con una natura selvaggia ma alleata: i rami sorreggono i
ragazzi, i cespugli li nascondono, le grotte li proteggono, i sentieri
li disperdono. Ma il romanzo non è solo un inno alla libertà, al
rapporto tra l’uomo e la natura, è anche un sorprendente manifesto
contro la stupidità dell’essere grandi e infatti l’ultima pagina si
chiude così: “e dire che quando saremo grandi, saremo magari scemi come loro”. Vivere tutto come i bambini, non è un "mito dell'infanzia", nè una sindrome di Peter Pan, ma guardare tutto con quegli occhi semplici che sono - per citare un altro grande romanzo per ragazzi - il cuore semplice di un Piccolo Principe può avere. Ecco
allora che per non soccombere all’inevitabile destino non serve
viaggiare fino all’Isola-che-non-c’è, basta mantenere la vitalità di
quelle lotte, con tutto quello che volevano dire: ribellione,
indipendenza, un forte senso di giustizia e una "risata smargiassa".
SONO IN ARRIVO DALLA FRANCIA DUE NUOVE VERSIONI CINEMATOGRAFICHE....
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