Credo che ormai molti conoscano il regista e sceneggiatore rumeno autore de Il Concerto (e forse qualcuno l’ha già conosciuto attraverso il folle viaggio del Train de vie, e attraverso la commovente vicenda di Shlomo, etiope cristiano profugo tra gli ebrei di Vai e vivrai) un film che, attraverso una delle magistrali opere di Ciajkovskij, ci regala una straordinaria e universale metafora sociale sulla dignità dell’individuo e sul dialogo interculturale.
Ma, al di là degli stereotipi, Il Concerto è qualcosa di più.
Musica classica, reminiscenze comuniste, melodramma, ironia, satira politica e una divertente bonaria impostura al centro del cinema di Radu Mihaileanu e de Il Concerto, un po’ tragicommedia e un po’ melodramma, ambientato tra Mosca e Parigi, che narra la bizzarra storia di un grande direttore d’orchestra del Bolchoi che, venticinque anni dopo il crollo della sua carriera di musicista, si ritrova a lavorare come uomo delle pulizie nello stesso posto in cui aveva diretto decine di concerti. Licenziato sotto il regime totalitario di Breznev, dopo essersi rifiutato di denunciare i membri ebrei della sua orchestra, aveva lasciato la sua opera “incompiuta”. Ma rinunciare a Lea, a Sasha, a Izak e a molti altri sarebbe stato per lui un rinunciare a un’idea; all’idea dell’armonia, alla perfezione che aveva potuto “assaporare” soltanto nelle note del concerto per violino e orchestra di Ciajkovskij.


Ma, come spesso accade, “l’imprevisto è la sola speranza”; l’ex maestro viene in possesso di un fax che invita la prestigiosa orchestra del Bolchoi, quella vera, a tenere un concerto in uno dei più importanti teatri di Parigi. Spinto dalla voglia di portare a termine l’opera che aveva potuto solo iniziare, l’impavido musicista decide di escogitare un piano per riunire la ‘vecchia’ orchestra da lui diretta all’inizio degli anni ’80 e partire alla volta della ville lumière in cerca del successo che gli fu negato.
È proprio vero che, per portare a termine le grandi opere, Dio si serva spesso dei più piccoli, derelitti e dimenticati sulla faccia della terra. Quindi, l’esotico gruppo di musicisti, reduce da anni di stenti e vessazioni dittatoriali del regime comunista sovietico parte così alla volta di Parigi…
Qualcuno ha definito questo film “anti-comunista”; ma il regista ci tiene a sottolineare che è piuttosto un film “contro tutte le dittature” che sono esistite e che esistono tuttora nel mondo: “La storia dell’umanità ha prodotto decine di esempi purtroppo, sia a sinistra che a destra: penso a Pinochet, alla Cambogia, alla Russia comunista di Stalin, alla Spagna, all’Italia. La mia denuncia non è soltanto contro il regime comunista; ma, essendo quello che ho vissuto personalmente sulla mia pelle, è ovvio che abbia scelto questa ambientazione. Quest’opera vuole opporsi a qualsiasi forma di potere che arrivi a mettere in ginocchio le persone e impedire loro di vivere il proprio destino. L’impostura positiva che mettono in atto i personaggi del mio film racchiude una sorta di volontà di reazione di fronte a un regime che, di fatto, li ha costretti per anni a piegarsi alle vessazioni politiche degli statisti che hanno guidato il paese.”
Il concerto, in fin dei conti, riesce se produce armonia; e forse che l’occidente per ritrovare la sua “armonia” ha bisogno di una scapestrata e gioiosa barbarica invasione dall’est? Questi uomini e queste donne che prendono di nuovo in mano il loro destino e tentano di rivendicare la propria dignità individuale, di riconquistare la stima di se stessi, possono davvero cambiare le cose e arrivare all’”armonia suprema”?
Ci sono popoli (e tra questi gli “slavi” sono nettamente radicali ed estremi nell’esprimere le loro emozioni, i loro dolori, le loro tragedie; e non ci dimentichiamo la costante presenza del mondo “gitano” nei film di Mihaileanu), come questi “sovietici-nostalgici”, che non si vergognano di ridere e di piangere, che hanno conservato in sè un’energia primordiale, una capacità di ironia sulla tragicità della vita, una semplicità del vivere quotidiano che l’occidente ha forse ormai dimenticato; ma soprattutto l’occidente ha dimenticato la capacità di dialogo, di accogliere l’altro, il diverso (come appare nell’ottuso cinismo dei direttori del teatro Châtelet di fronte a un’invasione barbarica di slavi e di rom o nel titubante pregiudizio della violinista Anne Marie), per rimandare tutto a una logica di convenienza, di potere e denaro.
Il concerto violino-orchestra è una metafora; è l’occidente che deve riconquistare questa armonia che ha perso, questa capacità di accogliere l’altro che è diventata pregiudizio e indifferenza. Solo conoscendosi fino in fondo, arrivando a comprendere che dalla felicità dell’altro dipende anche la mia, il violino trova il suo posto nell’orchestra e allora il concerto avrà quell’armonia suprema.
“E’ questo il punto focale. Quanti popoli sono in grado di cogliere l’essenza della propria storia, la propria energia vitale e metterla in sintonia con quella dell’universo che li circonda? Pochissimi. Senza tutto ciò è difficile vivere pienamente, l’armonia suprema sta proprio in questo: arrivare alla felicità con un percorso arduo e lungo”.
In una delle scene finali il direttore Andreï Filipov dice all’amico Sasha: “Pensaci,cos’è un concerto? Tante persone che si uniscono per un unico obiettivo: trovare l’armonia! Questa è la musica: è la musica il vero comunismo!”.
Unica nota negativa, che va a confermare la mia tesi, il doppiaggio italiano del film: come “abbattere” lo stereotipo del russo-“vodka per tutti”, con un doppiaggio che presenta russi che parlano tra di loro di “concierti”, “ciaikovski” “madrie russia” usando verbi all’infinito?
Il Concerto; un film di Radu Mihaileanu. Con Aleksei Guskov, Dmitri Nazarov, Mélanie Laurent, François Berléand, Miou-Miou.
Titolo originale: Le concert. Commedia, durata 120 min. – Francia, Italia, Romania, Belgio 2009.
http://www.pocherighe.org/2011/02/10/radu-mihaileanu-e-il-suo-concerto/